Corriere della Sera, 6 aprile 2023
Intervista a Lee Ming-che
TAIPEI L ee Ming-che, 47 anni, è uno dei simboli della lotta per la libertà di Taiwan: attivista politico, ex membro del Partito democratico progressista (il Dpp, lo stesso della presidente Tsai Ing-wen), da pochi mesi ha finito di scontare cinque anni di carcere duro in Cina, dove fu catturato nel 2017 e poi condannato per «incitamento alla sovversione del potere statale». Un caso clamoroso il suo, che aveva sollevato campagne internazionali per la liberazione e inasprito ulteriormente le relazioni tra Taiwan e la Repubblica popolare. Ming-che oggi è libero, vive nella sua Taipei ed è tra i pochi che possano testimoniare di persona non solo quanto sia pervasivo l’apparato di controllo cinese; ma anche come funzioni, da dentro, il sistema di detenzione riservato dal partito comunista ai dissidenti politici. È qui che il Corriere lo ha incontrato.
Sandali ai piedi, giubbino nero, Ming-che per prima cosa ci mostra sullo smartphone il video del discorso alla Camera di Giorgia Meloni, quello in cui la premier difende energicamente la scelta di fornire armi all’Ucraina. È sottotitolato in cinese. «Qui è diventato virale – ci dice —. Non condivido quello che la vostra premier pensa dei gay, ma le sue parole ci hanno entusiasmati. Noi ci sentiamo legati alle sorti dell’Ucraina: Russia e Cina hanno un accordo comune contro il mondo libero».
Lei perché venne catturato?
«Aiutavo i detenuti politici con donazioni di denaro. Mi arrestarono un giorno che entrai in Cina per un viaggio personale: fui bendato, infilato in auto e portato in un posto ignoto».
Si è fatto un’idea di come l’avessero spiata?
«Le autorità cinesi erano entrate nel mio computer attraverso il sistema di messaggistica WeChat. Avevano le mie conversazioni. L’ho saputo durante il processo».
WeChat è un programma cinese, come TikTok. Fanno bene alcune istituzioni occidentali a vietarne l’uso?
«Non ho prove che TikTok sia stato progettato per spiare gli stranieri, ma la legge cinese prevede che tutti i social siano obbligati a fornire informazioni per motivi di sicurezza nazionale».
Torniamo al processo: le estorsero una confessione.
«Prima della condanna ai lavori forzati, mi tennero per due mesi in sorveglianza domiciliare in una località segreta, senza poter parlare con nessuno. È un modo per distruggerti mentalmente. Il processo fu pubblico, un caso senza precedenti. Per i criminali politici in Cina non succede mai. È stato perché sono taiwanese e perché mia moglie lanciò una grande mobilitazione».
Quale fu il trattamento?
«Mi misero in una cella di 20 metri quadrati con sedici persone, mischiato ai criminali comuni. Tredici ore al giorno di lavori forzati e solo due colloqui con la famiglia in 5 anni, sempre sorvegliati. Gli agenti erano cortesi, mi compativano. Pensavano: come può credere di sfidare la Cina?».
L’eccezione occidentale
Ai detenuti si dice che l’Italia deve essere meno criticata per gli accordi sulla Via della Seta
Che lavori faceva?
«Manifattura di guanti o scarpe. Che poi vengono spediti in Canada o negli Usa. L’azienda americana fa l’ordine alla fabbrica cinese e questa lo gira alle carceri. Non so quanto ne sappiano gli Stati Uniti. Ma c’era un detenuto politico che era in prigione con me: ora sta facendo causa a una società americana».
Per i detenuti politici, oltre ai lavori, cosa è previsto?
«La chiamano educazione all’ideologia e alla politica. All’inizio erano trenta minuti al giorno, poi sono diventate due ore. La maggior parte riguarda il pensiero e l’ideologia di Mao. Poi si parla di come l’Occidente stia sfruttando la Cina e lo si critica molto. Anche se c’è un’eccezione e riguarda proprio l’Italia».
Ovvero?
«Ai detenuti politici si dice espressamente che il vostro Paese è quello che deve essere criticato di meno, perché ha sottoscritto la Belt and Road Initiative, cioè gli accordi commerciali per la Nuova via della seta (sottoscritti dal governo gialloverde nel 2019, ndr). Ne parlano come di un successo. Dicono che la Cina così aiuta i paesi più deboli che a causa della democrazia devono affrontare caos e povertà».
In carcere leggeva?
«Quello che mi permettevano. Ho letto La fattoria degli animali e 1984, prima che li vietassero, nel 2022. I libri me li ispezionavano. Ho una lunga lista di testi censurati».
Quali?
«Deridda, Camus, Améry. E tutto Primo Levi. Ho qui l’elenco di quelli che non mi hanno fatto passare».
Nancy Pelosi a Taipei volle incontrarla. Cosa le disse?
«Che il mondo deve aiutare Taiwan a rivelare le bugie della Cina. Sostengono che la democrazia non si adatti ai cinesi, ma non è vero. Taiwan ne è l’esempio».