Avvenire, 5 aprile 2023
Le lettere di Saint-Exupéry
Nelle Opere di Antoine de Saint Exupéry le lettere hanno un luogo rilevante. Luogo speciale per unità e intensità le lettere alla madre e quelle all’amica Rinette. Le Lettere a Rinette – l’amica di gioventù Renée de Saussine – hanno cambiato nome quattro volte, da Lettere all’amica inventata (Plon, 1953) a Lettere della giovinezza (Gallimard, 1953), a Lettere della giovinezza all’amica inventata
(Gallimard, 1972) fino al più immediato e neutro con il nome della donna. Le Lettere alla madre invece non hanno cambiato nome mai. Come potrebbero chiamarsi diversamente delle lettere alla madre? Dal primo volume finiscono nel secondo, fin proprio all’ultima, straziante non tanto per il contenuto caldo e affettuoso (e rincuorante e insieme sconsolato), quanto perché scritta il giorno prima della scomparsa dello scrittore, ma letta dalla madre soltanto un anno dopo: «Borgo, luglio 1944. Mia piccola mamma, voglio rassicurarti del tutto su di me (...) Sto bene. Davvero. Ma sono così triste di non averti potuto rivedere da così tanto tempo. E sono inquieto per te, mia vecchia piccola mamma cara. È un’epoca proprio infelice (...) Quando sarà possibile dire il nostro amore a quelli che amiamo?
Mamma, abbracciami come io ti abbraccio, dal fondo del cuore, Antoine». Poi vengono le lettere agli amici, tra cui quelle all’amatissimo Guillaumette, pilota come lui e figura decisiva nella sua vita, e a Leon Werth, il dedicatario del Piccolo principe e «destinatario» della Lettera a un ostaggio, entrambi del 1943. Ma la scrittura di Saint-Exupéry sa di lettera sempre. Ogni sua pagina conserva il calore, l’accostamento all’interlocutore e l’intimità della scrittura epistolare. La voce che non teme di rivelarsi anche nelle incrinature emotive, di mostrarsi trepida fino alla fragilità. Dunque può tendere una scrittura verso toni come la tenerezza, l’effusione ed essere sicura e forte al tempo stesso? Col passare degli anni si fa perfino più morbida e trasparente e sempre più salda. Da dove gli deriva questa forza?
La parola più comprensiva è probabilmente emozione. Come un calore che viene dalle cose dette e dal destinatario sentito come vicino. E voce bassa, semplicità, spontaneità, chiarezza e il desiderio del parlare sono anche nelle sue pagine più brevi e occasionali, come il Messaggio ai giovani americani (sull’intervento degli Stati Uniti nella guerra). A girare per ore le pagine delle Opere complete a fatica si troverebbe un nome di scrittore. Uno è nella Lettera a Breton per forza di cose. Un altro in quella a Maritain. La letteratura è tutta bruciata e assorbita nell’uomo, e uno scrittore pure così sorvegliato e composto e dalle svolte modulate, letterarie, sembra nato senza letteratura. Se la questione dello scrivere è la questione di poche ossessioni, quelle di Saint-Exupéry si conoscono: esaltazione dei valori spirituali dell’essere umano («La verità, per l’uomo, sta in ciò che, di lui, fa un uomo»), fraternità, necessità del sacrificio, ricerca in sé dell’autentica amicizia. Poche convinzioni che sono una sola: comprendere cosa sia davvero la comunità umana per rafforzarne le fondamenta. Con quali mezzi inseguiva ciò che gli stava a cuore? Non con quelli della logica, né della polemica o dell’ironia. Non credeva al dimostrare ma al mostrare. Credeva allo stesso modo ai semplici accostamenti, e al paradosso. Che dice alla ragione: quello che fai tu, posso farlo io con la stessa autorità rovesciandoti. In una nota nei Carnets di Joseph Joubert si parla della qualità degli incontri umani: «Quegli incontri ai quali né il corpo né l’anima partecipano in alcun modo. Intendo dire quelle conversazioni in cui nessuno parla dal fondo del cuore, né dal fondo del proprio umore; nelle quali non c’è abbandono o gaiezza, o effusione o gioco; in cui non trovi né movimento e né riposo, né distrazione e né sollievo, né raccoglimento né svago. Nelle quali, infine, niente si dona e niente si riceve, il che non fa dell’incontro una vera relazione». Anima, dal fondo del cuore, gaiezza, riposo, sollievo
era quello che esigeva da ogni incontro umano anche lui. E nei punti culminanti delle sue pagine – in due luoghi particolarmente della Lettera a un ostaggio si ricorda un ritrovarsi tra persone in cui questi aspetti rendono autentica la relazione: il tempo pare sospeso e tutto sembra esser nato per tendere a quel momento di comunione assoluta. «Nessuna speranza – scrive – finché non sentirete di nuovo come un colpo inferto a tutti gli uomini l’ingiustizia subita da uno solo»