il Fatto Quotidiano, 5 aprile 2023
La Sicilia sforna 316 poltrone
Per lo Statuto siciliano varato nel 1946 dovevano essere soppresse, ma la norma è rimasta inattuata per quasi 70 anni e oggi, dopo cambi di nome, commissariamenti e bocciature della Corte costituzionale, nel silenzio delle opposizioni il governo Schifani resuscita per l’ennesima volta le province, ente intermedio di governo del territorio ridotto negli anni a un carrozzone mangiasoldi, area di parcheggio e poltronificio per la politica siciliana.
Risparmio soppresse nel 2014 da crocetta
Per questo, almeno sulla carta, erano state soppresse nel 2014 dal governo Crocetta, che sostenne di avere raggiunto un risparmio di 130 milioni di euro “togliendo la poltrona’’ a 400 amministratori. In realtà, sia l’ambito territoriale sia la dotazione di personale e le risorse rimasero le stesse in capo ai Liberi Consorzi, per continuare a garantire la manutenzione di strade e scuole, le competenze residue rimaste che oggi il governatore Schifani vuole rivitalizzare: “La cancellazione delle Province – ha detto – partiva dal presupposto della riduzione dei costi della politica, ma ha determinato un vuoto nei processi decisionali e amministrativi che ha penalizzato in maniera evidente l’erogazione di servizi importanti per i cittadini e per la tutela del territorio, oltre a ridurre gli spazi di democrazia diretta e di espressione politica’’. Dopo l’adesione, nel comitato Stato-Regioni, all’autonomia differenziata voluta dalla Lega, è il secondo intervento del governo siciliano in direzione di un rafforzamento della gestione del territorio, che in questo caso appare come una riforma a beneficio esclusivo della casta per la moltiplicazione di poltrone e gettoni.
La leggina per sei città e tre aree metropolitane
Nonostante i proclami (“il numero di consiglieri e di assessori sarà inferiore rispetto a quello del passato, secondo una logica di sobrietà che guarda al contenimento dei costi e di snellezza ed efficienza dei nuovi enti’’) per le sole elezioni previste in autunno il disegno di legge del governo, varato il 3 marzo scorso, prevede una spesa di 10 milioni di euro, che sale sensibilmente con i gettoni di presenza dei neoconsiglieri e le indennità dei presidenti, sei per le province minori e tre per le aree metropolitane delle tre maggiori città, Palermo, Catania e Messina per un totale, nel primo caso di 186 nuove poltrone (144 consiglieri, 36 assessori e 6 presidenti), e 130 nel secondo (102 consiglieri, 25 assessori, e 3 presidenti) con indennità, al costo attuale, che per i presidenti vanno da 13.800 euro lordi (le aree metropolitane) e poco più di 11 mila euro (per le province minori).
Il precedente La consulta bocciò nel 2018 Musumeci
Sono conti dell’ex responsabile dell’ufficio trasparenza della Regione Siciliana, avvocato Lino Buscemi, che sottolinea come il disegno di legge sia strutturato con meccanismi di ricambio interni alla politica stessa: “È prevista – dice il legale – l’elezione di un consigliere supplente per riempire il posto lasciato vacante da chi è diventato nel frattempo assessore e la legge prevede espressamente una quota di consiglieri pari al 25 per cento riservata ai consiglieri comunali. Si perpetua un errore ignorando l’esigenza di razionalizzare la spesa e non si tiene conto di una sentenza della Corte costituzionale’’.
Nel 2018, infatti, la Consulta bocciò l’ennesima riforma del governo Musumeci, che aveva trasformato le elezioni di secondo grado introdotte da Crocetta (consiglieri votati da consiglieri comunali) in elezione diretta sostenendo, con la pronuncia n. 1068, che non si poteva fare: “le elezioni indirette – scrisse la Corte – sono funzionali a un obiettivo di semplificazione e rispondono a un fisiologico fine di risparmio dei costi’’. E se oggi le nuove elezioni, come prevede espressamente il ddl all’esame della commissione affari istituzionali (è in corso una verifica sulla compatibilità finanziaria, per ora dubbia) sono subordinate all’abrogazione della legge nazionale varata da Graziano Delrio su di esse continua a pesare, secondo Buscemi, un rischio di incostituzionalità: ‘’Il rischio di impugnativa resta evidente – sostiene il legale – a fronte di un tentativo di dare vita a organismi inutili ignorando il rigore necessario che i tempi impongono’’.
Statuto Non sono previste
Un “pasticcio’’ amministrativo che risale agli anni 80 quando il governo del democristiano Giuseppe Campione di solidarietà autonomistica inventò le province, nonostante l’espressa soppressione prevista dallo Statuto siciliano, chiamandole “amministrazioni straordinarie’’ e creando un esercito di oltre 500 amministratori, allora chiamati a gestire un vasto arco di competenze, dall’acqua ai rifiuti, via via svuotate nel tempo.