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 2023  aprile 05 Mercoledì calendario

Intervista a Nicola Lagioia

Quando si parla di Nicola Lagioia i superlativi si sprecano. E per presentare l’ultimo programma del Salone del Libro che porta la sua firma si sbilancia annunciando che «sarà tra le edizioni più belle», una «polifonia» in cui tutte le voci trovano posto.
Direttore, cosa dobbiamo aspettarci?
«Partiamo dopo un bel po’ di turbolenze ma ci siamo abituati. Sarà il Salone più grande di sempre, anche più alto perché saliremo sulla Pista del Lingotto messa a disposizione dalla Pinacoteca Agnelli che verrà utilizzata per presentazioni e reading. E poi per fortuna ora è molto più forte e più stabile rispetto a sette anni fa. Mi auguro che sarà bellissimo, le premesse ci sono: gli editori hanno confermato tutti la loro presenza e altri se ne sono aggiunti. Arriveranno scrittrici e scrittori da tutto il mondo, stiamo vendendo molti biglietti e a quanto pare anche più degli anni scorsi. Abbiamo trovato pure la nuova direttrice».
A proposito. Cosa ne pensa della scelta di Annalena Benini?
«Per il modo in cui gestisce la sua rivista e per i suoi articoli mi sembra un’ottima scelta. Anche se è una nomina arrivata più tardi rispetto a quando era previsto, ci sarà anche il tempo di raccontarle come funziona la macchina del Salone, che è complessa e coinvolge molti partner. Le daremo tutto il supporto di cui avrà bisogno per capire. Farà un ottimo lavoro, datele fiducia, fatela lavorare. Vedrete che questa manifestazione crescerà ancora se tutti quanti faremo la nostra parte, come è sempre successo».
La conosceva già?
«Ci conosciamo da parecchi anni. Con Annalena ci siamo visti lunedì sera e ci siamo parlati. Sia lei sia io non avevamo idea, prima del weekend, che si sarebbe sciolto questo nodo. Conosce il Salone, proveremo a portarle tutto quello che sappiamo anche grazie a una squadra formidabile, che già esisteva come nucleo originario quando sono arrivato ma che poi nel frattempo si è molto rafforzata e ampliata».
Le ha dato qualche consiglio?
«Non ho fatto ancora in tempo. E poi ognuno interpreta questo ruolo a modo proprio. Più che consiglio, una cosa importante è capire quali sono i propri referenti. Per il modo in cui ho lavorato io, i miei referenti sono stati sempre gli editori, gli autori e i lettori. Se si è forti su questa sponda, poi diventa difficile mettere, semmai qualcuno ne avesse voglia, i bastoni tra le ruote. Questa è la vera forza».
Ripete spesso che il Salone non è quello di sette anni fa. C’è una differenza che vuole sottolineare?
«È una macchina più complessa ma animata sempre da persone che sono pronte a gettare il cuore oltre l’ostacolo, sacrificarsi, mettere a disposizione le proprie competenze e anche a essere generosi l’uno nei confronti dell’altro. È un gioco di squadra, nel mio caso il direttore è primus inter pares, non è un uomo solo al comando mentre gli altri remano. È un gioco condiviso, sarebbe impossibile fare da soli. Se si attiva questo gioco di squadra allora funziona. E poi si fonda su una bellissima parola a cui teniamo sempre molto che è bibliodiversità. Ciò vuol dire che le piccole case editrici hanno per noi lo stesso valore e la stessa dignità dei grandi gruppi editoriali. Siamo un Paese che ha una compagine editoriale molto variegata, a volte sono proprio le case editrici indipendenti a scoprire autori che poi diventano noti a livello internazionale e quindi tutti vanno rispettati e a tutti va dato uno spazio».
Altaforte, la casa editrice di Casapound, parteciperà?
«No».
Cosa le ha lasciato questa kermesse?
«Tantissimo, non è un’esperienza facile ma è immersiva. Quando sono arrivato mi ero già occupato di eventi, dopo 15 anni di editoria. Ma il Salone non vuol dire solo avere a che fare con gli editori, è anche rapportarsi con le istituzioni. Questa è un’esperienza molto importante. La quadratura del cerchio è prestare fede alle proprie idee ma essere anche capaci di fare compromessi. Non scendere a compromessi, salire a compromessi che è ben diverso. Vuol dire trovare la mediazione tra idee diverse, anche quando si deve scegliere un autore o a capire come comporre il puzzle delle case editrici stabilendo a chi dare più spazio. È stata una scuola. Ne avevo frequentate un po’ ma questa mi mancava».
Cosa ha dato lei al Salone?
«La cosa di cui vado più fiero è aver attivato quel gioco di squadra di cui parlavo. Energia e collegialità sono fondamentali. È poi innegabile che ho lasciato un evento più solido, grande e forte. Inoltre c’è anche un altro insegnamento che ho imparato: lasciare quando le cose sono all’apice, non quando cominciano a scricchiolare».
La politica per lei è stata un ostacolo?
«No, basta mettere le cose in chiaro da subito. La politica fa come ti comporti. C’è stato fin dall’inizio un rapporto molto chiaro con le parti politiche. Ho sempre mantenuto lo stesso atteggiamento con tutti: grande rispetto perché le istituzioni sono fondamentali, soprattutto in un Paese in cui sono un po’ traballanti. A loro volta le istituzioni devono avere rispetto del ruolo di qualsiasi direttore culturale. Se non piace, può essere rimosso ma fino a quando è in carica deve essere assolutamente indipendente. Questo rispetto reciproco c’è sempre stato».
Cosa ne pensa della presenza del filoso della Nuova destra Alain de Benoist?
«Il Salone è un posto dove tutte le voci hanno posto. È una polifonia, quindi va bene. Non è nel mio programma, è stato un invito della Regione».
Ci sarà il ministro Sangiuliano all’inaugurazione?
«L’abbiamo invitato, mi auguro che venga. Il ministro della Cultura è sempre stato presente».
Che farà l’anno prossimo?
«Innanzitutto devo scrivere dei libri per cui ho firmato tempo fa dei contratti. Mi occupo di questa rivista online che si chiama Lucy e poi continuo a fare radio. Tra poco ricomincio Pagina 3 su Radio 3. Di cose da fare ce ne sono molte e annoiarmi è proprio il rischio minore». —