La Stampa, 5 aprile 2023
Intervista a Marcello Veneziani
«Non mi pare proprio che attualmente la destra stia rubando il concetto di tradizione alla sinistra. Se c’è un fondamento della destra è la tradizione, come l’idea del progresso è alle origini della sinistra. Certo, ci possono essere commistioni e si può sostenere che non c’è progresso senza tradizione, o all’opposto che la tradizione, intesa come senso della continuità, fluidità del trasmettere, non esclude affatto progressi (e regressi)». Non ha dubbi Marcello Veneziani, il più noto maître à penser della destra italiana, classe 1955, nato a Bisceglie e laureato in filosofia: la parte politica a cui lui stesso appartiene non sta mangiando il terreno alla sinistra sul tema del recupero della tradizione. «L’atto preliminare per entrambe è riprendere un rapporto attivo con la storia, non fermandosi a una fetta di passato recente, il fascismo e l’antifascismo, il comunismo e l’anticomunismo. Ma devono rifare i conti con la memoria storica e con le nostre origini», osserva ancora Veneziani che da poco ha pubblicato Scontenti (Marsilio), un’appassionata riflessione sulla nostra epoca e sulle “passioni tristi” dell’Occidente, come avrebbe detto Spinoza.
Però la destra, Veneziani, è sempre pronta a incalzare i suoi oppositori con la revisione: non si sta esagerando, per esempio, con la difesa ridicola della lingua italiana?
«La salvaguardia della lingua italiana è un bene che appartiene alla sensibilità nazionale della destra, ma che dovrebbe essere patrimonio culturale e popolare di tutti i cittadini della Penisola. E andrebbe difesa tanto dall’uso gratuito e inutile di parole straniere, quanto dai linguaggi prefabbricati dall’ideologia e dal lessico politically correct, tipo asterischi, schwa e altre grottesche forzature (fustigate pure dall’Accademia della Crusca). Poi, bisogna saperlo fare con intelligenza e realismo, senza alterazioni artificiose o bandierine che al primo colpo di vento volano via».
Abissali, invece, sono le divergenze per le adozioni gay, il riconoscimento di figli di coppie omogenitoriali e la gestazione per altri. È così?
«Dobbiamo tutti accettare l’idea che su questi temi vi sono due linee divergenti, una fondata sulla difesa della natura, della comunità e della famiglia tradizionale e una sui diritti individuali, i desideri fluidi e il liberismo sessuale. È una contesa che va ricondotta nel perimetro della civiltà, non demonizzando l’altrui posizione ma impegnandosi entrambi a portare a rigore le proprie scelte e rispettare quelle degli altri, pur contrastandole, come prevede un paese libero, maturo e democratico. Le opzioni di ciascuno devono essere garantite nella sfera privata, ma non possono ricadere su terzi (madri con uteri in affitto, figli voluti o rigettati). Nella sfera privata ciascuno è libero ma nella sfera pubblica deve essere tutelata e promossa la famiglia, la maternità e i figli».
La guerra è nella tradizione della destra?
«Sulla guerra in corso ho un’idea diversa da quella irregimentata nell’establishment italo-euro-atlantico, che include anche la destra di governo. Ho un’idea diversa delle cause di questa guerra, delle responsabilità, della sordità americana, e di riflesso europea, a perseguire linee alternative alla guerra».
Bobbio, a cui lei ha dedicato un un saggio, sosteneva che i «diritti umani sono i principali indicatori del progresso storico». È ancora attuale?
«Nella nostra epoca i diritti sono stati separati dai doveri e sono stati coniugati, e perfino risolti, nei desideri. Non mi sembra un passo avanti. E poi dove devono fermarsi i diritti umani, esistono anche i diritti dei nascituri, i diritti delle famiglie, i diritti identitari dei popoli? E chi stabilisce cosa sono e cosa non sono diritti umani, una cupola ideologica di supervisori? Bisogna rendersi conto che la vita degli uomini è più varia e complessa dei diritti umani come vengono indicati attualmente. C’è pure il diritto umano contro lo sradicamento universale, per la difesa della natura (non solo dell’ambiente, ma dell’ordo naturalis che comprende anche la natura umana), per la difesa delle tradizioni. Quante volte la lotta è a rovescio rispetto a quella descritta: ovvero i diritti di sempre contro i poteri nuovi».
Da sei mesi abbiamo un governo di destra: cambierebbe in positivo il titolo del suo ultimo libro, Scontenti. Perché non ci piace il mondo in cui viviamo?
«No, lo scontento è il sottofondo della nostra epoca e non muta certo con un governo. Sul piano politico il partito degli scontenti si divide in due rami: chi non va a votare e chi vota contro, premiando chi è all’opposizione (dai grillini ai meloniani). Aggiunga che chi governa non può discostarsi dalle linee sovranazionali in tema di Alleanza atlantica, Ue, Bce. La Meloni fa quel che fece Draghi e quel che farebbe il Pd. Ma il mio saggio è dedicato agli scontenti in senso più ampio, sul piano interiore, privato e pubblico. È un tema esistenziale, il male oscuro della nostra epoca, corrosa dal divario insanabile tra realtà e aspettative».
Cosa ne pensa delle esternazioni di Meloni e La Russa sulle vicende delle Fosse Ardeatine e di via Rasella?
«Suggerisco loro di lasciare agli storici la parola. Non cedere né alla piazza propria né a quella altrui e alle tante pressioni».
Lei cosa farà personalmente il 25 aprile?
«Ho più volte spiegato le ragioni per cui non partecipo al 25 aprile. Una su tutte: l’antifascismo politico, a fascismo morto e sepolto, dopo ottant’anni, nuoce al Paese e perfino alla parte politica che lo usa».
Oggi la sinistra può riappropriarsi dell’idea di patria?
«Vi sono stati momenti a sinistra di apertura all’idea di patria e al nazionalpopolare ma la sua essenza storica resta internazionalista e quantomeno apatriottica».
Donne al potere: Giorgia ed Elly. Che ne pensa? La destra non è sempre stata misogina?
«Il mondo cambia, misogina era pure la sinistra. L’importante è che vincano perché brave, non perché donne». —