la Repubblica, 5 aprile 2023
La transizione ecologica del calcio
Il 6 settembre scorso, prima di una partita di Champions League, un giornalista ha chiesto a Kylian Mbappé e all’allenatore del Psg perché la squadra avesse preso un jet privato per una trasferta di appena 400 chilometri, da Parigi a Nantes; al che l’allenatore, Christophe Galtier, ha preso la parola e ha risposto che la prossima volta allora avrebbero preso una barca a vela con le rotelle per fare tutti contenti; e i due hanno riso assai della battuta attirandosi le critiche degli ambientalisti di tutto il mondo. Sei mesi dopo un altro calciatore, non famoso come Mbappé è vero, ha deciso di compensare le emissioni di anidride carbonica delle trasferte che fa ogni mese con la sua squadra, la Salernitana, piantando olivi nell’Italia meridionale: si chiama William Troost-Ekong, e prima di iniziare una carriera che lo ha portato a giocare in sei diversi campionati europei, è cresciuto in Nigeria dove ha visto gli effetti del cambiamento climatico.
Questi due episodi raccontano perfettamente gli estremi della difficile transizione ecologica del calcio. Il gioco più amato del mondo ha iniziato, tardi, un percorso per diventare più sostenibile, ridurre le emissioni climalteranti, favorire l’economia circolare al posto di generare montagne di rifiuti, trasformare gli stadi in comunità energetiche che producono l’energia che consumano. In Germania la sostenibilità dal prossimo campionato sarà addirittura una dei criteri per l’iscrizione alla Bundesliga. Ma è la Premier League a guidare il movimento anche stavolta: il campionato più spettacolare e remunerativo del mondo è anche quello dove si stanno investendo le maggiori risorse nella transizione ecologica, una riprova del fatto che la sostenibilità non è soltanto una cosa “buona e giusta”, ma anche uno strumento per restare competitivi. Così si spiegano i tanti progetti per installare pannelli solari sui tetti degli stadi (l’ultimo, quello di Londra dove si disputarono le Olimpiadi del 2012); le maglie delle squadre ridisegnate per raccontare il cambiamento climatico (notevole quella del Chelsea con l’innalzamento dei mari); e la classifica che da un paio di anni viene stilata ogni anno per premiare i club più virtuosi (vince sempre il Liverpool, anche qui).
La rotta da qui al 2030 l’ha indicata a tutti i club la Uefa con delle linee guida stringenti. E l’Italia? È rimasta indietro ma sarebbe ingiusto dire che non sta accadendo nulla: si muovono anzi i primi timidi passi. La strada è lunga ma nel frattempo il calcio può già fare molto: dire ai tifosi, ai milioni di tifosi che lo seguono, che il cambiamento climatico non è una moda, non è una religione, non è la fissazione di un piccolo gruppo di esaltati. Il calcio, con la sua formidabile capacità comunicativa, può essere lo strumento definitivo per sconfiggere i veri eco-idioti della nostra epoca: quelli che si ostinano a negare un fatto dimostrato da tutta la comunità scientifica rallentando quei cambiamenti necessari che renderebbero il mondo migliore. Contro un negazionista del clima a volte un calciatore informato può risultare più efficace di uno scienziato.
Per questo in occasione della prossima giornata mondiale della Terra, il 22 aprile, assieme ad Alessandro Del Piero e a tre capitani di serie A, abbiamo chiesto alla Lega calcio e alla Divisione calcio femminile della Figc di far scendere in campo le squadre con la fascia da capitano dedicata al clima. Si tratta di un gesto forte, lo sappiamo. Solo per due altre cause quella fascia è stata modificata: per la pace e contro il razzismo. Il cambiamento climatico, nella Giornata mondiale della Terra, non è da meno. Del resto contrastare davvero il cambiamento climatico, cambiare il nostro modo di abitare il pianeta, è la partita più difficile che abbiamo davanti come umanità, ma anche l’unica che conta davvero. E in questa sfida, per fare gol, conterà ogni singolo passaggio. Come ha detto William Troost-Ekong spiegando la sua decisione di compensare le emissioni: “Penso che, come me, molti altri calciatori potrebbero fare molto di più se prendessero sul serio questo tema, ma semplicemente non hanno ricevuto la necessaria educazione. Con il mio gesto spero di innescare una reazione a catena”. Cominciamo con una firma. Per i capitani del clima.