Corriere della Sera, 5 aprile 2023
Intervista a Memo Remigi
«Non vorrei che 50 anni di carriera venissero cancellati da un errore». Memo Remigi (vero nome Emidio, «che in greco antico significa semidio, ma non ho ancora capito quale sia la mia metà divina») ha attraversato la storia della musica e della televisione: cantante, compositore, autore di musiche per le più belle voci della canzone italiana, conduttore, perfino campione di golf. In Sapessi com’è strano (edito da Sperling & Kupfer) si racconta tra carriera e vita privata, tra passato e presente, tra ricordi meravigliosi e qualche dramma. La sintesi? «Ho amato la vita e la vita ha amato me».
Partiamo dalla fine. La mano sul fondoschiena a Jessica Morlacchi a «Oggi è un altro giorno».
«È stato un gesto senza malizia, scherzoso, ma sicuramente inopportuno. Io e lei abbiamo avuto sempre un rapporto amichevole, di grande confidenza e complicità: dopo il fattaccio l’avevo chiamata, ma non mi ha mai risposto».
Si aspettava di più da Serena Bortone?
«Non ci siamo più sentiti. Nemmeno una chiamata. Mi sarei aspettato, visto il lungo rapporto, un comportamento diverso, speravo in più umanità da parte sua. Anche Costanzo lo aveva detto: Memo ha sbagliato e lo sa. Ma ci sono autori di colpe maggiori, molto maggiori che lavorano serviti e riveriti».
«Innamorati a Milano» è la sua griffe di riconoscimento.
«Racconta il mio amore per Lucia, i nostri incontri a Milano, un posto impossibile per un provinciale come me; racconta la delicatezza del nostro amore dentro il frastuono del traffico e delle opportunità».
Lucia, ovvero sua moglie: vi siete incontrati nel 1961 e sposati 5 anni dopo; il divorzio nel 1983 e le nuove nozze nel 2007... Un film.
«L’ho conosciuta, amata, tradita e riconquistata. A un certo punto mi sono reso conto che le altre non contavano: ho capito che la madre di mio figlio, la compagna della mia vita, quella che mi ha indicato cosa fare da grande quando non lo sapevo era quella giusta».
Intanto Shirley Bassey la aspettava in baby-doll.
Il titolo
«Sapessi com’è strano» è il titolo dell’autobiografia dell’autore-conduttore
«E mia moglie trovò l’indirizzo dell’hotel e si presentò alla porta. Io scappai e il mio amico Giovanni D’Anzi mi suggerì di tornare da Lucia per ricordarle che le avevo dedicato la canzone d’amore più bella ambientata a Milano, naturalmente dopo la sua O mia bela Madunina».
Barbara D’Urso aveva 19 anni, lei il doppio...
«All’epoca ero un uomo con il cuore palpitante ma diviso in due: una parte era per questa giovane donna che mi faceva sentire speciale e irrinunciabile, ma una parte era rimasta da Lucia».
Se una donna le chiedeva di impegnarsi in un matrimonio lei scappava.
«Capisco che magari alcune donne volessero un impegno più stabile, ma io la famiglia ce l’avevo già, Lucia per me è sempre stata un punto di riferimento, una dipendenza affettiva, nonostante avessi anche altre velleità».
Nel libro scrive che suo padre ogni tanto ricorreva a sberle e olio di ricino...
«Era un uomo giusto ma dal carattere militaresco. Dai 12 anni in su, ogni volta che ci trasferivamo al mare, mio papà tutte le mattine alle sei tirava su la tapparella e mi dava un cucchiaione di olio di ricino e una tazza di caffè amaro, diceva che era salutare. Erano gli integratori di allora...».
La spesa più folle?
«Le macchine. Ogni volta facevo le sorprese a mia moglie ma lei già sapeva. Maserati – anche una Ghibli —, due Ferrari, la Pantera De Tomaso, le Bmw: le ho avute tutte».