Corriere della Sera, 5 aprile 2023
La mano sul volto che divide l’America
Un gesto spacca gli Usa. L’ha inventato il wrestler John Cena, è usatissimo tra i teenager, consiste nel passarsi la mano aperta davanti al volto rivolgendosi a un rivale; significa: non ti vedo nemmeno, scansati. Domenica notte, testimone una platea sconfinata (media di 9,9 milioni di spettatori su Espn con picco di 12,6, 19.482 presenti a Dallas), quel gesto l’ha rivolto la stella di Louisiana Angel Reese alla fuoriclasse di Iowa Caitlin Clark: era in corso la finale del campionato di basket universitario (Ncaa), l’evento che ferma il Paese più dell’Nba e meno solo del Superbowl, il culmine del March Madness, il rito collettivo della follia di marzo, quel mese in cui gli Usa respirano e masticano pallacanestro.
Angel, 20 anni, di Randallstown, sobborgo di Baltimora, guardia fiera di essere uscita dal ghetto, nella concitazione di un match vinto 102-85 rispondeva al gesto – lo stesso – che Caitlin, 21enne di Des Moines, grande tiratrice capace di statistiche da urlo (82 punti nelle ultime due partite prima della finalissima, 12 triple), le aveva rivolto nei quarti di finale, venendo apprezzata per la sua irriverenza.
Ma nell’America polarizzata delle violenze dei poliziotti bianchi sui neri, la ragazzata di Reese è stata postata a ripetizione sui social, vivisezionata tra le polemiche, trasmessa in slow motion alla televisione e l’adrenalinica rivalità tra teenager destinate a un grande futuro nel basket professionistico è diventata lo spunto per scannarsi anche sull’ex presidente Trump, che era stato mandato a quel paese dalle regine gay del calcio («Alla fottuta Casa Bianca mai!» è la frase finita sui gadget di Megan Rapinoe, campionessa del mondo 2019) e difficilmente avrebbe ospitato nello Studio Ovale Angel e le sue sorelle, le Tigri della Louisiana capaci di sbranare le Hawkeyes di Iowa. L’invito a Washington è puntualmente arrivato dalla first lady Jill Biden (che vorrebbe presente anche la squadra perdente), e il tweet in risposta di Reese («It’s a joke!», è uno scherzo; poi rimosso), che si è svegliata con l’anello Ncaa al dito e un milione di follower su Instagram, ha ulteriormente incendiato gli animi.
Due simboli
L’ultima partita della Ncaa: di fronte Reese e Clark, la star nera contro quella bianca
Nell’impossibilità di godersi una partita di basket (pessimamente arbitrata, tra l’altro, come sottolinea Sally Jenkins, columnist del Washington Post: e anche qui l’opinione pubblica si divide tra Clark massacrata di falli e Reese con la cattiva abitudine di alzare il gomito sotto rete), lo sport si rivela ancora una volta il fedele specchio di una società frammentata, buoni contro cattivi, bianchi contro neri, Angel portabandiera del male, disposta a tutto pur di vincere, e Caitlin paladina del diritto di provocare l’avversaria senza finire nel tritacarne mediatico, con una giustizia a senso unico. Nel dibattito infuocato, fedele al suo ruolo, il numero 10 di Louisiana con una gamba coperta e l’altra scoperta come Florence Griffith quando correva lo sprint (a proposito di polemiche) non si è certo tirata indietro: «Non devo scusarmi con nessuno – ha detto nella notte del trionfo —, è tutta la stagione che mi criticano per come sono. Non corrispondo alla narrazione, mi rendo conto, non voglio stare nella scatola in cui tutti cercano di infilarmi. Sono troppo tamarra, sono troppo ghetto».
Con il loro talento, le loro facce, con il fascino irresistibile degli opposti che si attraggono (e attirano gli sponsor), Angel e Caitlin hanno già cambiato lo sport. Generational player, dicono gli americani. Giovani icone capaci di orientare una generazione. Sulla libertà di esprimersi Serena Williams innestò una clamorosa scenata in mondovisione all’Open Usa 2018. Volitiva o isterica: l’America se lo sta ancora chiedendo.