La Stampa, 4 aprile 2023
Ecco cosa è restato di quegli anni 80
In Italia la fine degli Anni di piombo, il riflusso ideologico, gli yuppies e i paninari, il walkman e le spalline imbottite. E poi ovunque, a partire dall’America, segnata da edonismo reaganiano e ripresa economica, E.T. che indica la sua casa con il dito puntato verso le stelle, Madonna che conquista il globo con Like a virgin, i videogiochi nella loro età dell’oro, grazie all’esplosione, in Giappone, del fenomeno Nintendo e di quel SuperMario Bros (pubblicato nell’85) che oggi diventa film, prodotto dall’ideatore Shigeru Miyamoto con Chris Meledandri e diretto da Aaaron Horvath e Michael Jelenic. Alla base di tutto, anche di Super Mario Bros il film (dal 5 nei cinema con Universal), c’è una voglia di Anni ’80 che attraversa cinema, musica, moda, coinvolgendo le ultime generazioni che, pur non avendo mai vissuto quel periodo, ne hanno avvertito il sapore elettrizzante, allegro, diverso dalla nostra attualità, avvolta in una nube di paure, dalla guerra al disastro ambientale: «Nella mia mente – diceva Miyamoto a proposito della sua creatura – Super Mario è un personaggio da vecchio vaudeville, un uomo vivace e pieno di energie che si diverte a fare cose stravaganti». Difficile incontrarne oggi, forse anche per questo Super Mario non ha perso un briciolo del suo fascino: «Mario Bros è il topolino d’Oriente – sorride Claudio Santamaria che presta la voce al personaggio -, ha tutte le caratteristiche dell’ometto caparbio e indistruttibile, del piccoletto che, anche se tutti lo prendono in giro per la sua statura, riesce perché crede in se stesso». Un ottimismo che oggi suona singolare, ma che, allora, coincideva con il clima dell’epoca. La stessa in cui, come racconta Tetris di Jon S.Baird (disponibile su Apple tv ), protagonista Taron Egerton, l’imprenditore olandese Henk Rogers superò la cortina di ferro per acquisire i diritti del gioco inventato dal programmatore russo Aleksej Leonidovic Pazitnov. La stessa in cui, a Napoli, come rievoca Sydney Sibilia in Mixed by Erry, poteva succedere che un ragazzo del quartiere Forcella creasse un impero basato sulla vendita di musicassette piratate: «La differenza tra la nostra generazione e quella del film – osserva Giuseppe Arena che, sullo schermo, interpreta uno dei due fratelli di Erry – è che, forse, allora, si lottava molto di più per raggiungere i propri sogni, si è un po’ persa quella voglia matta di ottenere quello che si voleva». Grandi traguardi a portata di mano, disponibili per tutti quelli che sapevano credere nei propri desideri. È lo stesso tema intorno a cui ruota Air, la storia del grande salto in cui Ben Affleck, insieme all’amico di sempre Matt Damon, ricostruisce l’avventura che raddrizzò le sorti della Nike, dopo il favoloso ingaggio del leggendario Michael Jordan: «Spingi te stesso – era, nell’84, una delle frasi chiave della filosofia Nike -. Punta a raggiungere l’impossibile».
Videogames. musica libera, scarpe che diventano simbolo di orgoglio afro-americano e lotta al razzismo, sono simboli di un’era in cui, come dichiara Matt Damon, poteva davvero succedere che gli «underdog», i meno favoriti dalla sorte, vivessero la loro rivincita. In fondo anche il protagonista di Lo chiamavano Jeeg Robot fa parte della schiera: «I personaggi che vengono dall’animazione – osserva Santamaria – sono sempre divertentissimi, per fare questo mestiere bisogna aver conservato un lato infantile, saper credere in cose che non esistono, giocare con i propri sentimenti, insomma, saper tornare bambino. Quando mi hanno offerto il doppiaggio di Super Mario Bros il film sono saltato sulla sedia, da ragazzino ero un appassionato». La prospettiva infantile è quella che James Gray ha scelto per descrivere, in Armageddon Time il tempo dell’apocalisse (nelle sale), la propria infanzia a New York, nei Queens, con la famiglia ebrea del protagonista Paul (Michael Banks Repeta) che non vede di buon occhio l’amicizia con il ragazzino afroamericano Johnny (Jaylin Webb): «In quel periodo – ha spiegato il regista – Ronald Reagan continuava a parlare in tv dell’Armageddon, della guerra con l’Urss, del disastro nucleare, ma l’Armageddon, per me, è anche quello che può scatenarsi in una persona molto giovane quando vive un evento traumatico». I genitori del film costringono Paul ad allontanarsi da Johnny, lo iscrivono in una scuola per ricchi, dove pregiudizi razzisti e discriminazione sociale sono pane quotidiano e dove i membri di un certa famiglia Trump sono i rispettatissimi finanziatori dell’istituzione. Quel cognome, che attraversa per un attimo il racconto, annuncia la fine dell’illusione, quello che verrà dopo gli Anni 80, quando, tra Top Gun e Footloose, si poteva ancora immaginare di essere felici. —