Corriere della Sera, 4 aprile 2023
Chi è Darya Trepova
Capisci per cosa sei stata fermata?
«Per... direi perché ero presente sul luogo dell’assassinio di Vladlen Tatarsky».
Che cosa hai fatto?
«Avevo portato lì la statuetta che è esplosa».
Chi te l’aveva passata?
«Posso dirlo più tardi?».
A giudicare dal video del primo interrogatorio di Darya Trepova diffuso dal ministero dell’Interno, sarebbe già tutto chiaro. Ma questa è la Russia di oggi, dove la realtà può essere manipolata in ogni modo possibile, fino ad ottenere una versione perfettamente sovrapponibile ai desideri del Cremlino. E quando si tratta di un omicidio che può avere connotati politici e di certo avrà un potenziale ritorsivo verso le persone o il gruppo che l’hanno commesso.
Che siano davvero loro gli autori o i mandanti, è un dettaglio. Anche la vera identità della vittima è già stata stravolta dalla sua morte violenta. Maksim Fomin, detto Vladen Tatarsky, era un ex delinquente comune che aveva tratto vantaggio dall’atmosfera di guerra perenne che da otto anni informa di sé la Russia e soprattutto il Donbass dal quale proveniva. Non era certo un ideologo, ma un semplice blogger che dal fronte ripeteva e amplificava i messaggi più violenti della destra ultranazionalista.
Conviene quindi mettere in fila quel che si sa della presunta attentatrice, fermata alle sei di ieri mattina nel rione Vyborgskij di San Pietroburgo. Era arrivata da Mosca, e non progettava di rimanere a lungo in città. Aveva in mano un biglietto aereo per l’Uzbekistan. Così riferiscono le autorità russe, e da qui in poi la precisazione viene data per scontata.
Le amiche
«Era contraria all’Operazione militare, ma non aveva opinioni radicali»
Nata nel 1997, Darya Trepova, è nota nei circoli delle femministe pietroburghesi e degli attivisti politici come Dasha Tykovka (significa piccola zucca, ed era questo il nome del suo account sui social). Aveva lavorato come commessa in un negozio di abiti vintage. Era stata iscritta alla facoltà di Medicina dell’università di San Pietroburgo, dalla quale in seguito venne espulsa. Pochi mesi fa si era trasferita a Mosca, per poi tornare indietro due giorni prima dell’attentato. La sera del 2 aprile sarebbe dovuta partire dalla Russia.
Il comitato OVD-Info che si batte per la tutela dei diritti umani riferisce che Darya e suo marito Dmitrij Rylov erano stati fermati il 24 febbraio 2022 a un comizio contro la guerra. Lei era stata condannata a dieci giorni di arresto amministrativo, la pena minima, non certo quella che in casi come questo viene comminata ad attivisti ritenuti pericolosi o influenti. Il marito è membro della sezione pietroburghese del Partito libertario, il quale ha fatto sapere a diversi canali Telegram che Rylov non ha niente a che vedere con quel che è accaduto. Secondo due sue amiche, contattate del sito indipendente Agenzia, Darya si è sempre detta contraria all’Operazione militare speciale, ma non aveva certo opinioni radicali. Il matrimonio con Dmitrij, secondo le amiche, era stato una pura formalità. «Per quel che sappiamo, le nozze ci sono state, ma loro non erano in contatto. Negli ultimi sei mesi lei non ha mai menzionato il marito».
Un altro canale Telegram legato ai Servizi segreti ha pubblicato frammenti di corrispondenza del messaggio inviato da Darya a un’altra amica. Dopo l’esplosione, avrebbe scritto, il condizionale è d’obbligo, che «sarebbe meglio se fossi morta, mi hanno incastrata». Poi avrebbe cancellato la chat.
Il marito, o presunto tale, si è invece fatto sentire con un sito indipendente di San Pietroburgo. Rylov, che afferma di trovarsi in Georgia, ha detto di ritenere poco verosimile l’ipotesi che «Dasha» sia una assassina. «Lei pensava che nel busto fosse nascosto un congegno di ascolto» afferma, non si capisce bene su quali basi. «Sono sicuro che lei non avesse idea di cosa stava per portare in quel bar. Ho parlato con lei dopo l’esplosione, ma dal nostro colloquio era chiaro come fosse certa che dentro il regalo era stato messo un dispositivo d’ascolto. Ma sicuramente non doveva essere una bomba».
Quale che sia un possibile scampolo di verità tra queste informazioni in parte contraddittorie, la verità ufficiale sembra essere già stata scritta. E prevede un allineamento della minaccia terroristica ucraina con quella dell’opposizione interna che sostiene Alexei Navalny, il dissidente in carcere ormai da mesi. Poco importa che il canale Sota abbia scoperto di un gesto recente della presunta colpevole che non corrisponde affatto al ritratto della perfetta cospiratrice. Lo scorso 9 marzo, Darya Trepova si era infatti iscritta al Registro statale dei liberi professionisti elencando le sue attività: produzione di abbigliamento e accessori; consulenze e lavori nel campo delle tecnologie computerizzate. A farla breve, stava cercando un lavoro.
Il Comitato di sicurezza russo è stato lesto nel dichiarare che l’esplosione è frutto di una collaborazione tra servizi segreti ucraini che si sarebbero serviti di persone che collaborano con il cosiddetto Fondo anticorruzione di Navalny, del quale Darya Trepova sarebbe una volontaria.
Il marito ha detto che Darya non può avere agito agli ordini della squadra di Navalny, per il semplice fatto che non conosce nessuno di quell’ambiente.
L’avvocato Ivan Zhdanov, uno dei più stretti collaborati di Navalny, dice che ormai i giochi sono fatti. «Fin dalle prime comunicazioni è apparso chiaro che si sarebbe cercato di scaricare tutto sul Fondo anticorruzione, che continua a dare fastidio con le sue inchieste. Già da tempo è in corso il tentativo di colpire Navalny con nuove accuse di terrorismo. Fa molto comodo. La storia recente della Russia insegna».