il Fatto Quotidiano, 4 aprile 2023
Casse vuote in Forza Italia
“Le prospettive sono pessime, anche i dipendenti sono molto preoccupati”. A 87 anni Alfredo Messina – per una vita in Fininvest e poi in Forza Italia, di cui è tesoriere – ha ancora le sue belle grane nello star dietro ai morosi del partito. “Soprattutto i consiglieri regionali – ci dice durante una delle sue trasferte milanesi del lunedì – Bisogna che il governo faccia qualcosa per il finanziamento pubblico ai partiti. E non capisco neanche il tetto massimo di 100 mila euro all’anno per ogni finanziatore privato”.
La lista della spesa per Giorgia Meloni è esplicita, insomma. Anche perché Forza Italia costringe agli straordinari il portafoglio di famiglia dei Berlusconi: come negli anni passati, anche nel 2023 gli affetti più cari dell’ex Cavaliere hanno garantito alle casse di FI il massimo che la legge Spazzacorrotti consente. Centomila euro ciascuno, già donati tra la fine di febbraio e marzo dal fratello di Silvio, Paolo Berlusconi, e dai figli Marina, Luigi ed Eleonora. Con i 100 mila euro bonificati invece attraverso la Fininvest, il tesoretto sale a mezzo milione, in attesa che si aggiungano le offerte degli altri due figli dell’ex premier.
Ma non è abbastanza: “Le prospettive sono negative, considerando il calo degli eletti e la perdita di adesioni. Siamo passati da 70 dipendenti a 12, ma ridurre i costi più di così è impossibile”. Messina è alle prese con gli imboscati, ovvero parlamentari o consiglieri regionali che dovrebbero versare ogni mese almeno 900 euro, ma preferiscono tenersi lo stipendio per intero.
A ridosso dello scioglimento anticipato delle Camere, qualcuno si è messo in regola anche per guadagnare punti nella spietata corsa alla rielezione (vedi Maria Elisabetta Alberti Casellati, che l’estate scorsa ha versato quasi 28 mila euro). Chi però non si è assicurato un posto al sole e aveva arretrati da decine di migliaia di euro al momento della composizione delle liste – per esempio Dario Bond, Domenico De Siano e Antonio Ruggieri – ha lasciato Parlamento (e talvolta partito) senza preoccuparsi di saldare. E poi ci sono gli attuali parlamentari, un po’ anarchici sulle restituzioni: persino il neo-capogruppo Paolo Barelli nella nuova legislatura non ha ancora scucito assegni, anche se – come accaduto in passato – potrebbe poi accorpare le quote in uno o due versamenti annuali. Idem Paolo Emilio Russo, tra i più vicini all’ex Cavaliere, ma ancora senza donazioni.
Il vero buco nero però, dice Messina, è nelle Regioni: “Noi mandiamo solleciti, ma è complicato rintracciarli tutti, perché spesso ci dicono di aver donato alle federazioni locali”.
A Roma la situazione è critica e ci si appella al governo: “Sul finanziamento pubblico ho proposto il modello tedesco, con rimborsi rigorosi in base a quanto un partito spende. Qualcosa bisogna fare”.
E se non arrivano i soldi dei contribuenti, si dia almeno il “liberi tutti” ai donatori privati: “Non capisco perché sia stato messo il limite dei 100 mila euro all’anno. Nel momento in cui è tutto registrato e trasparente, perché inserire questo tetto?”. A Meloni e ai suoi, ora, la responsabilità di mettersi una mano sul cuore.