il Giornale, 4 aprile 2023
La seconda vita dei terroristi rossi
Aldo Moro aveva ipotizzato Le Brigate Rosse in Parlamento? È la tesi di un suggestivo libro di Giorgio Balzoni e Fiammetta Rossi. Forse mai avrebbe immaginato tra gli scranni l’ex Prima Linea Sergio D’Elia (nel tondo), eletto nel 2006 dopo aver espiato la condanna per aver ammazzato il poliziotto Fausto Dionisi. Né il no global Francesco Caruso, che una volta piazzò per protesta finte molotov sotto un albero di limoni dentro il cortile della Camera. Lo statista Dc rapito e ucciso dalle Br ormai 45 anni fa aveva compreso l’attrazione fatale della sinistra verso i «compagni che sbagliano» ma forse sarebbe rimasto sorpreso di vedere due estremisti elemosinare dallo Stato canaglia la paghetta del Reddito di cittadinanza, come fece (invano) il suo carnefice Raimondo Etro e persino Federica Saraceni, condannata per l’omicidio del giuslavorista Massimo D’Antona e ai domiciliari dal 2009. «Certamente il padre (Luigi, ex toga di Md poi parlamentare Pd, ndr) era in grado di assicurarle un congruo sostegno economico», sibilò invano Pietro Ichino, critico per la scelta dell’Inps. Lo stesso infame destino, un figlio nella lotta armata, toccò all’ex vicesegretario della Dc Carlo Donat-Cattin, la cui carriera politica finì il 20 dicembre 1980 davanti all’immagine in manette del figlio Marco, leader di Prima Linea. Qualche brigatista è finito nell’oblio, altri cattivi maestri vanno ancora in giro ad avvelenare una narrazione colpevolmente spezzettata e incompleta di quegli anni, anche perché la Rai ha preferito la facile scorciatoia della fiction a una verità storico-giornalistica condivisa. Davanti ad Alberto Franceschini, Barbara Balzerani e Renato Curcio trasmissioni tv e Università srotolano tappeti rossi, Adriana Faranda e Franco Bonisoli furono persino invitati alla Scuola dei magistrati di Scandicci. Un po’ come chiamare Matteo Messina Denaro a spiegare la mafia ai magistrati della Dna. Poi ci sono altri personaggi meno noti ma non per questo secondari. L’ex Br veneto Roberto Del Bello è stato consigliere della Provincia di Venezia, leader locale di Rifondazione e segretario particolare dell’ex sottosegretario Francesco Bonato al Viminale. Maurizio Iannelli della colonna romana collabora stabilmente in Rai come autore, Eugenio Pio Ghignoni è passato da Moro alla Cgil e lavora a Roma Tre. La carceriera di Moro Laura Braghetti è stata a busta paga dei Ds e del ministero del Lavoro. Susanna Ronconi (Brigate Rosse e Prima Linea) ha fatto da consulente per Asl, Comuni toscani e lombardi e fu scelta dall’allora ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero nella Consulta sulle dipendenze. A ingaggiarla era stata pure l’ex ministro Livia Turco. L’ex Prima Linea Marco Solimano e il fratello Nicola si muovono tra Livorno, Arci, garante dei detenuti e la rossa Regione Toscana. Silvia Baraldini ha lavorato per Walter Veltroni sindaco di Roma, mentre l’ex europarlamentare di Rifondazione Luisa Morgantini aveva tra i suoi collaboratori l’estremista Anna Maria Cotone. Maurizio Azzolini, immortalato mentre sparava durante gli scontri del 1977 a Milano in Via De Amicis, è stato capo di gabinetto del vicesindaco ai tempi di Giuliano Pisapia. E quando non possono assumerli li vanno a trovare in carcere, come fece mezzo Pd per Alfredo Cospito. Ogni tanto la sinistra si ricorda di candidare anche qualche parente, come Olga D’Antona e Sabina Rossa, figlia del sindacalista Guido ucciso dalle Br nel ’79 eletta senatrice Ds nel 2006: «Chi fece morire mio padre ora parli», chiese in una intervista al settimanale Grazia. Ancora è lì che aspetta.