La Stampa, 3 aprile 2023
Intervista a Corrado Augias
«La destra fa il suo mestiere. È la sinistra ad aver abbandonato l’idea di patria e, arrivo a dire, di nazione». Corrado Augias, 88 anni, è appena tornato a Roma da Londra, «dove nonostante la loro crisi politica si nota sempre una compostezza difficile da trovare in Italia».Dall’alimentazione alla famiglia, dalla sicurezza al lavoro, la destra sta rubando la tradizione alla sinistra?«Penso che semplicemente cerchi di mantenere lo “status quo ante” facendo un lavoro di conservazione. Non voglio arrivare a definirla destra reazionaria, cioè che difende una situazione oltrepassata dalla Storia, ma nel caso della famiglia per esempio sostiene una definizione assolutamente superata. Non si tiene conto, per esempio, che ormai le famiglie di una persona sono preponderanti».Elettoralmente conviene difendere la tradizione?«Se i fenomeni sociali assumono una grande dimensione diventa complicato polemizzare con la realtà. Si può cercare di accompagnare, di guidare, anche se non saprei in che modo. L’unica cosa che so è che la famiglia può essere un nido d’amore o un covo di vipere indipendentemente dal fatto che sia etero o omosessuale. La famiglia è concettualmente fatta d’amore, indipendentemente dai componenti».Che ne pensa di adozioni gay, riconoscimento di figli di coppie omogenitoriali e gestazione per altri?«Sono favorevole all’adozione gay, mentre il resto sono temi delicatissimi su cui vorrei vedere norme riflettute, illuminate, ma sicure. Non lascerei tutto al mercato».La carne sintetica, a cui il governo si oppone, fa parte della difesa della tradizione alimentare italiana?«È una battaglia arretrata e perduta in partenza. L’unico limite dev’essere la tutela della salute. Siamo 8 miliardi su questo pianeta e, finché non ne troveremo un altro, è etico cercare nuovi modi di nutrimento».Che ne pensa della proposta di legge di Fdi per tutelare l’italiano rispetto all’inglese nell’amministrazione pubblica?«L’italiano va difeso e il cedimento pigro agli anglicismi è riprovevole. Ciò detto, come insegnava il linguista Luca Serianni, la lingua la fanno i parlanti. Inutile imporre regole, se mai servirebbe una migliore educazione».A partire dalla scuola?«Certo, anche lì con buon senso. Sull’informatica, per esempio, è inutile tradurre i termini come fanno pateticamente i francesi. Mentre in molti campi si può privilegiare l’italiano».Tutte queste proposte sono il tentativo di creare una “nuova tradizione” di destra?«Non c’è dubbio, ma temo che il carattere fondamentale di questa destra sia l’inadeguatezza alle cariche ricoperte».Non erano pronti?«No, e penso che Meloni inizi a rendersene conto. Probabilmente lei avrebbe voluto anche altri ministri, ma è dovuta scendere a patti con gli alleati. Sicuramente la figura del presidente del Senato, a parte la stupidaggine su via Rasella, è chiaramente inadeguata e questo arreca un danno d’immagine pure alla premier».La Russa deve dimettersi?«Non saprei».In Inghilterra avrebbe dovuto dimettersi?«Certo, ma è un sistema da cui noi dobbiamo imparare ancora molto. Quello che mi fa riflettere è che la gaffe di La Russa su via Rasella era in buona fede. Non si trattava di una provocazione, lui l’ha detto perché ci crede e questo fa capire che non ha alcuna cultura storica di un periodo che pure ritiene fondamentale per la sua vita. E un politico che arriva alla seconda carica dello Stato con simili lacune diventa un pericolo per la democrazia. Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, mi pare più consapevole del suo ruolo e anche dei suoi limiti, tanto che finora è stato molto discreto».La gaffe riporta a galla il nodo irrisolto dell’origine di questa destra?«Certo, in campagna elettorale chi parlava di fascismo veniva deriso ma il tema esiste. Questa destra non ha neppure fatto i conti col lato ridicolo del regime, col presente, i saluti romani, i camerati, tutta una ritualità di cui è imbevuta. E a Roma fuori dalle scuole e nelle piazze vedo tanti fascistelli scimmiottare simili atteggiamenti».Meloni quanto è diversa da tutto questo?«È una politica intelligente, ma cresciuta in quel mondo. Ne è impregnata e fa fatica a prenderne le distanze».Anche se più giovane non ha fatto quel passo che fece Fini?«Esatto, lui fu un caso di maturazione politica notevole. Quando andò in Israele ne uscì sconvolto e dimostrò buona fede. Meloni non ha mai fatto quel passo, anche perché ha una maggioranza diversa e sa che non può indebolirsi nei confronti di Salvini».Come mai sulla cultura la destra fa più fatica?«La sinistra ha sempre avuto l’egemonia e anche ora la differenza resta schiacciante. Tanto è vero che al ministero della Cultura è andato un bravo giornalista, però ci fermiamo lì».Dante capofila della destra, come ha detto Sangiuliano?«Non mi trova d’accordo, però ha ragione sul fatto che chi sporca i monumenti deve pagare. Così come ha ragione il ministro Valditara a chiedere di spegnere i telefonini in classe. Alcune proposte della destra sono condivisibili. Così come alla sinistra rimprovero di aver abbandonato l’idea di patria, di forze armate, arrivo a dire di nazione. Un grave errore. Sono valori che riguardano tutti e che passano da episodi storici come le Foibe o El Alamein. Ricordo che il primo a pronunciare la parola patria a sinistra è stato Berlinguer».Schlein dovrebbe ricominciare a usarla?«Speriamo bene».Non ha fiducia in lei?«Ha energia, può ridare vita a un popolo disperso che nome non ha, come diceva Manzoni, ma deve stare attenta perché la sua modernità può essere una forza come una debolezza. La sinistra deve vivere anche di tradizioni e non so se lei sia abbastanza attrezzata».