la Repubblica, 3 aprile 2023
Biografia di Maksim Fomin, meglio noto come Vladlen Tatarsky
Nato ucraino, cresciuto minatore, fattosi bandito, Maksim Fomin nella sua quarta vita è stato uno dei più accesi nazionalisti russi. Come a voler cancellare la colpa di essere venuto al mondo a Makiivka, nella regione di Donetsk, al momento dell’invasione su larga scala è andato a combattere nel Donbass e, contemporaneamente, faceva il corrispondente di guerra per la Russia: 41 anni, blogger militare tra i più seguiti, ha animato con dibattiti al limite del delirio storico frequentatissimi canali su Telegram. Il primo, da mezzo milione di follower, è il suo personale. Per più di un anno lo ha aggiornato con messaggi quotidiani firmati con lo pseudonimo Vladlen Tatarsky. Non un nome qualunque.
Vladlen Tatarsky è il protagonista del libro culto “Generazione P” del visionario russo Viktor Pelevin, che racconta della fine dell’Unione Sovietica, dell’ingresso della società russa nel consumismo, di droghe e di mitologia mesopotamica. Come l’alter ego letterario, anche il Tatarsky blogger considerava la Russia l’unico orizzonte possibile e plausibile. Di questa monolitica convinzione ha intriso i suoi diari di guerra. Gli ucraini lo consideravano tra i più influenti propagandisti di Mosca. E non tutti i russi lo apprezzavano. «È un ucraino che critica Putin, non dovrebbe avere questo successo», dicevano i detrattori. Da giovane fatica in una miniera di carbone a Donetsk. Poco più che trentenne per una rapina in banca finisce in carcere a Gorlovka, da cui riesce a evadere grazie allo scoppio del conflitto nel Donbass. È il 2014. Da latitante imbraccia il fucile e si unisce ai separatisti, per lui unica garanzia di impunità. Per due anni è in prima linea, in seguito entra in un’unità di intelligence. Accumula esperienza militare, come si capisce leggendo uno dei suoi canale Telegram, Rsotm (acronimo per Reverse side of the moon), dove a 354 mila follower fino a ieri spiegava tattiche di assalto e di difesa.
Nel 2019 si trasferisce a Mosca. Entra in contatto e posta foto con Darja Dugina, figlia del filosofo estremista Aleksandr Dugin, uccisa il 20 agosto scorso in un attentato. Lo scorso settembre Putin lo invita alla cerimonia di annessione delle quattro regioni ucraine occupate. In quell’occasione registra un video, poi diffuso sui social, in cui dice: «Sconfiggeremo chiunque, uccideremo tutti, ruberemo tutti coloro a cui dobbiamo rubare. Tutto sarà come vogliamo noi. Andiamo, Dio ci assiste». Fomin, alias Tatarsky, gravita nell’orbita di Evgeny Prigozhin e della Brigata mercenaria Wagner. Come il fondatore, si lamenta spesso del ministro della Difesa, delle operazioni militari condotte dallo Stato maggiore e dell’efficienza dell’arsenale russo. «Fino a quando non scopriremo il nome di questo genio che ha posizionato il battaglione tattico vicino al fiume, e lui non ne risponde pubblicamente, non ci saranno riforme nell’esercito», scrive quando l’estate scorsa perdono centinaia di uomini nel tentativo di attraversare il fiume Seversky Donetsk. Aggiungendo: «L’offensiva nel Donbass è ostacolata dalla mancanza di adeguate informazioni dai droni e anche da generali di questo tipo. Come non ricordare il compagno Stalin, che non aveva paura di prendere decisioni difficili. Se ciò non viene fatto, nessuna mobilitazione ci salverà: un altro idiota con un cappello di astrakan brucerà i nostri mezzi corazzati». Inneggia al genocidio ucraino e invoca lo sterminio degli inermi. «Bisogna colpire le infrastrutture civili, in particolare le centrali elettriche. Gli ospedali smetteranno di funzionare e tanti ucraini creperanno sui tavoli operatori». Il governo di Kiev lo ha sanzionato, gli ha confiscato la casa e gli ha vietato per dieci anni di rientrare nel Paese. «L’Ucraina è uno Stato terrorista», è la sua risposta su Telegram.
L’ultimo messaggio è delle 15 di ieri. Fomin pubblica la foto di un enorme manifesto a Mosca che invita ad arruolarsi nella Brigata Wagner. «È bello vedere questi manifesti per strada. Ne ho visti anche a Rostov. Ma in molte città ancora non appaiono. Spero che l’unico motivo sia che non abbiano avuto abbastanza tempo per ordinarli». Poco dopo, a San Pietroburgo il busto scolpito a sua immagine consegnatagli come regalo da una donna è esploso, uccidendolo al numero 25 di Universitetskaja naberezhnaja, dove nel weekend si riuniscono i cyber-guerrieri russi. Quel bar una volta era di Prigozhin.