Corriere della Sera, 3 aprile 2023
Intervista a Giorgio Mastrota
Come si definisce lui: «Sono l’uomo delle pentole e dei materassi». Come lo definiscono gli altri: «Gli altri non so. Però ancora oggi, quando entro negli studi di Cologno Monzese per girare una televendita, mi mettono sotto il naso un contrattino in cui c’è scritto “artista”. La cosa mi ha sempre fatto sorridere, perché è la stessa professione che attribuiresti a Picasso o Van Gogh. Diciamo che la dicitura “professionista dello spettacolo”, anche per i contratti, sarebbe più corretta».
Sono più di vent’anni che Giorgio Mastrota non conduce programmi tutti suoi. Eppure, grazie alle televendite e alle telepromozioni di pentole e materassi, «a cui si sono aggiunte quelle delle poltrone reclinabili», il suo è ancora uno dei volti televisivi più riconoscibili. Difficile trovare un italiano sopra i quarant’anni che, incrociandolo per strada, non lo riconosca. Nel 1998, la notizia della separazione da Natalia Estrada finì nei titoli del Tg5 della sera. Nel settembre scorso, dopo undici anni di fidanzamento, ha sposato Floribeth Gutierrez, madre di due dei suoi quattro figli, e non se n’è accorto quasi nessuno. Tra poche settimane compirà 59 anni.
La sua vita cambia vincendo il concorso «Il più bello d’Italia», edizione 1988.
«Tutto pilotato, ero raccomandato».
Scherza?
«Tutt’altro. Gianfranco Funari, che era presidente della giuria del concorso che si teneva a Loano, mi chiamò a partecipare con la garanzia che avrei vinto. Il problema è che oltre a me, che ero il raccomandato della parte della giuria che veniva dalla televisione, c’era un altro raccomandato dal mondo del cinema. Si chiamava Caveri, non so che fine abbia fatto».
Come ne vennero fuori?
«Moltiplicando i premi. Caveri “il più bello d’Italia”, Mastrota “l’uomo ideale”».
Quando aveva conosciuto Funari?
«Premessa: vengo da una famiglia che non aveva nulla a che fare col mondo dello spettacolo. Papà calabrese di Civita, origini arbereshe, liceo a Napoli, poi assicuratore a Milano; mamma veneziana, casalinga. Nel 1988 avevo già lasciato gli studi di economia aziendale in Bocconi e mi ero iscritto a Scienze politiche. Andrea, che ancora oggi è uno dei miei migliori amici, va come concorrente al Gioco delle coppie, condotto da Marco Predolin, e porta una mia fotografia agli autori, tra cui c’è Marco Balestri».
Prendono anche lei?
«Mi fanno qualche provino e alla fine mi scartano. Però mi propongono di andare a fare i fotoromanzi a “Grand Hotel”: centomila lire al giorno, pensi che io ne guadagnavo quattromila facendo il palleggiatore al tennis club sotto casa. Poi, anche grazie ai fotoromanzi, insieme a Federica Panicucci inizio a fare il “ragazzo sponsor” nel programma “Smile”, condotto da Gerry Scotti. Fininvest decide di mandare alcuni di noi a studiare teatro, a imparare come si stava sul palco. Oltre a me e alla Panicucci, tanto per fare un altro nome, c’era anche Simona Ventura».
Sì ma Funari?
«La moglie di Alberto Tagliati, all’epoca direttore di Grand Hotel, mi segnalò a Gianfranco. “Guarda che quel Mastrota, oltre che belloccio, è anche sveglio”. Inizio quindi a lavorare con Funari e, visto che si trovava molto bene con me, a lui viene in mente la trovata di portarmi al “Bello d’Italia”, di cui faceva il presidente della giuria. E così, dopo essere diventato “L’uomo ideale” del 1988, mi fanno condurre “La donna ideale” e l’anno dopo “Improvvisando”, insieme a Ramona Dell’Abate, sempre sulla Rai».
Cachet?
«Ottocentomila lire a puntata per otto puntate. Totale: sei milioni quattrocentomila lire. Il programma si faceva a Saint-Vincent e io alloggiavo all’hotel Billia, quello col casino. Convinto che il trattamento fosse tutto compreso iniziai a concedermi ciascuno di quelli che, fino a quel momento, avevo considerato lussi inarrivabili. Provai il salmone affumicato, mai assaggiato prima, e fu salmone affumicato a tutte le ore. Una macchia impercettibile sulla maglietta? Pronti via, chiamavo il servizio lavanderia del grand hotel e dopo un’ora arrivava la maglietta pulita. Al momento di andarmene, in reception mi porgono un conto da 4 milioni. E visto che i sei milioni e passa del cachet della Rai sarebbero arrivati dopo qualche settimana, mio padre fu costretto a correre a Saint-Vincent da Milano per staccare un assegno e farmi venir via».
Le telenovelas quando arrivano?
«Due anni dopo, nel 1991. Nel frattempo Tiziana Martinengo, che ancora oggi è una mia amica, mi aveva chiamato in Fininvest a fare l’inviato nei programmi di Patrizia Rossetti. A un certo punto, a Cologno iniziano a cercare una faccia italiana per le telenovelas sudamericane che all’epoca avevano un successo clamoroso, quelle con Grecia Colmenares e Jorge Martinez. Chiesero a me se per caso parlassi spagnolo e risposi che sì, “certo che lo parlo”».
Era vero?
«Macché. Sapevo che alla Biblioteca Sormani, che già frequentavo da studente di scienze politiche, avevano le audiocassette dei corsi di lingua spagnola. Mi chiusi là dentro per qualche settimana senza dire nulla a nessuno. Poi partii per Buenos Aires per interpretare il personaggio di Marcello Negri nella telenovela “Manuela”».
Senza quelle audiocassette non avrebbe mai sposato Natalia Estrada. O no?
«Nel 1992 mi danno da condurre “Bellezze al bagno”, la risposta Fininvest a “Giochi senza frontiere”. Produzione italo-spagnola: io conducevo la versione che andava in onda su Canale 5, insieme a Patrizia Rossetti; Natalia quella trasmessa in Spagna da Telecinco. Questo succedeva in estate. A dicembre eravamo già sposati, nel 1995 sarebbe arrivata Natalia junior».
Come fu la separazione?
«Difficile. Piaciuti, voluti, amati, sposati: tutto in una sequenza rapidissima, come una vampata che brucia una cosa dopo l’altra. La fine del matrimonio fu un evento così clamoroso che finì nei titoli del Tg5. Ma fu accelerata anche la sofferenza del post. Sai, quando una cosa la sanno tutti, esci di casa e ti arrivano parole di conforto da chiunque: il passante, l’edicolante, il macellaio. E passa prima».
Visti da vicino, com’erano i colossi della tv commerciale?
«Mai incontrato uno con l’umiltà di Raimondo Vianello. Quel mezzo inchino che riservava al telespettatore era lo stesso con cui si avvicinava alle costumiste, alle sarte, agli assistenti di studio, ai ragazzi della portineria. Sandra Mondaini mi trattava come se fossi suo figlio, amorevole, sempre. Quando iniziarono le televendite, c’era qualche settimanale che forzava i titoli e veniva fuori col virgolettato, attribuito a me, “eccomi, sono il re delle televendite”. A Mike, che era il vero re delle televendite, la cosa non piaceva. “Non devi dire questa cosa!”, mi diceva tutte le volte che lo incontravo in camerino. “Ma Mike, io non l’ho mai detta!”. “Sì ma tu non dirla”, insisteva. E io, che avevo un rispetto sacro per la sua figura: “Va bene, Mike, non la dico più”».
L’ingresso in politica di Berlusconi li vide tutti dalla stessa parte. Anche lei votava per il Cavaliere?
«Io venivo da una tradizione familiare democristiana. Quindi, da moderato che guardava più al centrodestra, sì, l’ho votato. Però sono sempre stato un pragmatico, anche come elettore. Guardo molto alla persona, infatti a Milano ho votato per Beppe Sala. Mio papà, invece, era diventato un berlusconiano accanito, il berlusconismo in tutte le sue forme per lui era quasi una vocazione. E che cosa succede? Tre anni dopo la fine del matrimonio con me, Natalia si mette insieme a Paolo Berlusconi e quindi capitava che ci si ritrovasse con lui in qualche occasione, tipo alle feste comandate. Ecco, papà era contentissimo di quei momenti, di vedere un Berlusconi in famiglia, anche accanto alla sua ex nuora».
Mastrota, come ha fatto a sparire dal giro dei conduttori tv?
«La tv è fatta di alti e bassi. E chi la fa si divide in due categorie: quelli che se ne fanno una ragione e quelli che non ci stanno. Io sono sempre stato nel primo gruppo. Nel 1995 prendo in mano un programma, “Nati per vincere”, che va decisamente male. Avendo nel frattempo continuato a fare le televendite e le telepromozioni, con un certo successo, le aziende insistevano nel volermi e io a fare essenzialmente quello».
Ha mai avuto l’occasione di rilanciarsi?
«Dopo “Meteore”, con Gene Gnocchi su Italia 1, la Rai mi propone “Festa di classe” dopo Amadeus. Avrei dovuto trasferirmi a Roma, lasciare le televendite e soprattutto allontanarmi da Federico, il secondogenito avuto dalla mia compagna di allora Carolina, che era appena nato. C’è chi vive di smanie di rivalsa e chi invece, volta per volta, di fronte alle scelte della vita si fa una semplice domanda: sto bene così oppure no?».
Scelse la rivalsa o la domanda?
«Scelsi la domanda. E trovai subito la risposta. Sì, stavo bene così».
Ci ripensa ancora?
«Certo che ci ripenso. E, quando succede, riformulo la domanda. La risposta è che sto bene, quindi è stato giusto aver rinunciato. Oggi i figli sono quattro. Dopo Natalia Junior e Federico sono arrivati Matilde e Lorenzo, io e Floribeth ci siamo finalmente sposati e abitiamo in mezzo alla natura, a Bormio. Io giro ancora le televendite e passo il tempo libero a leggere saggi di politica italiana e internazionale, la mia passione».
La laurea in scienze politiche l’ha poi presa?
«Mi mancherebbe solo la discussione della tesi, gli esami li ho dati tutti».
Guardandosi indietro, la cosa che la sorprende?
«Forse è la stessa che mi lascia di stucco ancora, dopo tanti anni, tutte le volte che firmo quel contrattino per andare in onda. Il fatto che il sottoscritto, Mastrota Giorgio, venga ufficialmente considerato con la stessa parola di Van Gogh o Picasso: artista. Ma non sarebbe meglio “professionista dello spettacolo”?».