la Repubblica, 2 aprile 2023
Intervista a Luciano Violante
Presidente Luciano Violante, la seconda carica dello Stato che conserva in casa busti del Duce e prova a riabilitare il Ventennio può restare al suo posto?
«Esistono fatti fondativi del concetto di patria che non possono essere oggetto di discussione, se non mettendo in discussione la patria: l’attentato di Via Rasella è del marzo ’44; a gennaio c’era stato il secondo eccidio di Boves; nell’ottobre precedente il rastrellamento al ghetto di Roma. L’Italia era un Paese occupato da un esercito straniero che usava la violenza, l’omicidio e la tortura per imporre il suo dominio. Alcuni patrioti, dal Nord al Sud, si sono ribellati e hanno colpito, dovunque era possibile».
Fatti fondativi che La Russa ha contestato. E anche se poi si è scusato, resta il maldestro tentativo di riscrivere la storia di Via Rasella: è un comportamento compatibile col ruolo che ricopre?
«È un dibattito che porta in un vicolo cieco. La Costituzione dice che chi assume funzioni pubbliche è tenuto ad esercitarle con onore e disciplina, un principio che vale per tutti».
Anche Giorgia Meloni ha fatto del riduzionismo, sostenendo che le 335 vittime delle Fosse Ardeatine furono trucidate “solo perché italiane”. Esiste un disegno revisionista della destra?
«Io non vedo un disegno, piuttosto vedo la difficoltà di liberarsi da un lontano retaggio. Penso che Fratelli d’Italia intenda diventare un moderno partito conservatore non localista né paleoliberale; perciò prima o dopo sarà necessario recidere alcune radici.
Quando il Pci decise di tagliare con il passato tramutandosi in Pds subì una pesante scissione. Occhetto ebbe il coraggio di dire: “Questa cosa va fatta”, anche se costava, perché serviva al Paese».
Una rottura che tuttavia FdI non sembra volere. Anzi, secondo lo storico Sandro Portelli le uscite di La Russa e Meloni non sono frutto di un errore, bensì una distorsione ideologica intenzionale per non mettere in crisi la propria identità, fondata sulla fiamma che arde sulla tomba di Mussolini.
«Non credo che l’identità attuale di Fratelli d’Italia sia quella, anche se all’interno potrebbero esserci presenze che si richiamano al fascismo. Ma se guardo al gruppo dirigente non riscontro queste nostalgie. A mio parere bisognerebbe avere un atteggiamento rispettoso, tale daaiutare il processo di trasformazione in corso.
Biasimare quel che c’è da biasimare, sapendo però che chi veste in modo permanente l’abito del censore riduce la credibilità delle proprie critiche e non fa fare passi avanti al Paese».
Scusi, ma a lei non ha fatto impressione sentir dire al presidente del Senato che i nazisti uccisi in Via Rasella erano “una banda musicale di semipensionati e non delle SS”?
«Ha riconosciuto la gravità delle sue affermazioni, si è scusato. Ha fatto bene a correggersi. Era la negazione di un fatto costitutivo della storia della democrazia italiana, parte di quella Lotta di Liberazione che ci ha consentito di diventare un Paese libero. È la nostra identità, all’interno della quale ci possono stare diverse concezioni politiche, ma, ripeto, all’interno».
Ha fatto bene l’Anpi a non invitarlo sul palco delle celebrazioni per il 25 aprile?
«Mi rifiuto di dare voti o giudizi su comportamenti altrui».
Cosa dovrebbe fare la destra per dimostrare di riconoscersi pienamente nella Costituzione antifascista nata dalla lotta di Liberazione?
«Credo che questo problema non ci sia. Basta per esempio guardare le posizioni anti-europee di ieri e quelle europeiste di oggi. È giusto sottolineare gli errori e le contraddizioni ma atteggiamenti narcisisti, aristocratici e perennemente accusatori non rendono un servizio all’Italia».
Anche lei subì delle critiche nel maggio ’96 quando, durante il suo discorso di insediamento alla guida della Camera, chiese di riflettere sulle ragioni che dopo l’8 settembre portarono molti giovani a scegliere la Repubblica di Salò.
«A volte bisogna affrontare le critiche. In quel discorso sostenni che bisogna sforzarsi di capire le ragioni degli altri, senza parificazioni fra chi lottava per la libertà e chi stava dalla parte dei vagoni piombati. Ed esclusi i “revisionismi falsificanti”. Cose analoghe disse Togliatti nel ’44 ai ragazzi della Federazione romana dei giovani comunisti. Ci fu una guerra civile, tra italiani. È un dato drammatico, ma è la verità».
Riusciremo mai ad avere una memoria condivisa?
«Cerchiamo di rispettare la storia, poi ciascuno avrà le proprie memorie personali. Però mettersi d’accordo sui fatti costitutivi della democrazia è un argine che non si può superare, a pena di collocarsi fuori della democrazia».