Domenicale, 2 aprile 2023
Storia delle orchidee
«Mi onora l’essere stata la chiave di volta utilizzata dal naturalista Charles Darwin per spiegare l’evoluzione, perché la mia famiglia è un laboratorio di biomeccanica e di intelligenza vegetale». A parlare è l’orchidea, sensuale e pura, perfida e ingannatrice. O meglio sono i 30mila tipi di fiori diversi l’uno dall’altro creati dalla natura e i più di centomila altri ibridi usciti finora dalle mani dell’uomo. E, nonostante tutta questa vita, metà delle specie di viventi sotto minaccia di estinzione (animali compresi) sono orchidee.
Questa storia è una chanson de geste scritta dal sentimento, dalla botanica e dalla bellezza che il saggista Alessandro Wagner ricostruisce, facendo parlare in prima persona i fiori, nel suo ricchissimo e avvincente Fare l’amore come un’orchidea. Storia e mirabilia del fiore più intelligente del mondo. L’orchidea, il cui nome si deve a Teofrasto (371-287 a.C.), allievo, amico e successore di Aristotele alla guida della scuola peripatetica di Atene (orchis in greco significa testicolo ed era anche un personaggio del falso mito), non è né femminile, né maschile, ma entrambi e il suo speciale organo riproduttivo rappresenta bene il concetto dell’ermafroditismo. Vive in simbiosi totale e superspecializzata con gli altri due regni dei viventi, animali e funghi: «proprio da questa totale simbiosi, dal mio modo di amare, è disceso tutto il resto: lo sviluppo della mia ingegnosità, e della mia bellezza, la mia irrefrenabile moltiplicazione in migliaia di specie diverse, il successo fra gli umani. E la mia fragilità: senza il mio fungo simbionte non posso nutrirmi a sufficienza, anzi non posso nemmeno germogliare; senza il mio animale impollinatore non posso riprodurmi. Se vengono a mancare loro, almeno in natura, io non esisto più».
Quotidianità fragilissima e vita da highlander dell’evoluzione: il primo, nel 1844, a dare un’età alle orchidee fu Abramo Bartolomeo Massalongo che ne intravvide due fra i fossili di Bolca e le datò a cento milioni di anni fa. Intanto, le orchidee, per attrarre gli insetti della foresta tropicale, sviluppano fiori che sono magia e scelgono di diventare epifite, vivendo sui rami degli alberi. Ad essere calamitati sono anche i botanici, Linneo, prima, e Rumphius, poi, che riconosce nella polvere delle orchidee i semi. Cadono a terra, un fungo buca quel seme e avvia una simbiosi e una nuova pianta: anche questo è amore.
Con gli studi scientifici, impazza l’orchidea-mania. Esploratori e avventurieri riportano in Europa migliaia di piante, nasce un vero e proprio collezionismo che ha nell’architetto Joseph Paxton un benemerito: per primo, capisce che non basta replicare umidità e temperature tropicali, ma serve la ventilazione. Le orchidee sono ormai come i gioielli, uno status symbol. Duchi e conti fanno a gara per avere le serre più ricche, soprattutto da quando nel 1845, in Inghilterra, viene abolita la tassa sul vetro, c’è chi si specializza e diventa cacciatore di orchidee e chi, come Frederick Sander, fonda una nursery e crea il primo registro degli ibridi, o anche chi riconosce nella vaniglia le sembianze di una orchidea.
Poi, arriva Charles Darwin e tutto cambia, svelando l’intelligenza delle orchidee: infila una matita nel fiore, come fosse la proboscide di un insetto, e il rostello – cioè stami e pistilli insieme, parte maschile e femminile insieme – rilascia i due pollinia, appiccicati alla matita, come fosse il dorso di un insetto, per poter poi essere depositati sullo stigma della prossima orchidea che l’insetto (o la matita) visiterà, e così impollinarla. Il naturalista inglese capisce che l’orchidea è raffinatezza estrema e intelligenza vegetale, e scopre l’importanza della fecondazione incrociata, che avrebbe irrobustito le genie e fatto nascere individui insieme molto simili, ma un pochino diversi dai genitori. Proprio quella scoperta lo fa inciampare in alcuni reverendi suoi amici che gli consigliano di lasciar perdere quegli studi e pubblicare un libro sui maiali.
Darwin, che aveva descritto la maestria delle orchidee nel riprodursi, accende anche la fantasia degli scrittori: nel 1911, John Blunt, in The Orchid Horror, sovrappone l’astuzia delle orchidee agli sguardi della femme fatale, e Wagner fa dire alla sua orchidea narrante «dopo essere stata tanto amata e vezzeggiata per cento anni, all’improvviso sono diventata perfida, maligna, assassina». Sicuramente era diventata sensuale nelle forme di Marilyn Monroe che nel 1948 debutta in Orchidea bionda. E poi ha riempito i libri di Nero Wolfe e il mastodontico lavoro di censimento e riclassificazione di tutti i generi fatto dai Kew Gardens: «sinché ci sono orchidee c’è speranza. E sinché se ne scoprono di nuove, ancor di più».