Domenicale, 2 aprile 2023
Su Oreste Del Buono
La rivista «Linus» dedica un numero speciale a Oreste Del Buono, il suo principale artefice storico insieme alla bella coppia Gandini di Milano Libri (e all’appoggio non trascurabile di Eco e Vittorini) e alla infaticabile Fulvia Serra.
Il tempo passa, e se «Linus» può vantarsi di essere arrivata con la nuova serie al 58° anno di vita, sono già passati vent’anni dalla morte di Del Buono, che ne aveva allora ottanta. Il numero che gli dedica «Linus» non dimentica che Del Buono fu anche un notevolissimo scrittore oltre che uno dei “piccoli maestri” dell’editoria italiana del dopoguerra. Con irresistibile bonomia e un briciolo di allegro cinismo, passò da una “ditta” all’altra inventando collane e scrittori con una serenità e vivacità davvero invidiabili, uniche. Ho avuto la fortuna di esserne stato amico – ma quanti amici aveva! – e nei miei anni milanesi di averlo visto assai spesso con un’altra indimenticabile amica, Grazia Cherchi, e a Roma con quella che fu una grande giornalista, Lietta Tornabuoni, che fu anche una sua fedelissima compagna, presso la quale morì dopo molte sofferenze, pur senza mai trascurare l’ottima famiglia milanese.
Piccolo e irrequieto, Oreste (“odb”, come amava firmarsi) mi spiegò una volta il segreto per essere – come lui era ed era considerato – un grande redattore: avere una segretaria molto ben pagata e molto efficiente in possesso di tre o quattro lingue straniere fondamentali; avere a New York un intellettuale amico, meglio se un critico e meglio se pagato; farsi abbonare alle migliori riviste culturali in lingue accessibili e ai supplementi letterari dei grandi giornali... E il gioco era fatto, ma ovviamente per arrivare ad avere tutto questo Del Buono aveva dovuto faticare non poco, dalla Bur del tempo di Angelo Rizzoli fondatore alla Mondadori alla Einaudi eccetera, in un passaggio talora vertiginoso da una redazione all’altra, da una collana all’altra. (Dei suoi esordi nel mestiere, Oreste ricordava spesso una famosa battuta del “comenda” Rizzoli, ignorantissimo e geniale, che si faceva spiegare libro per libro i titoli proposti dai vari redattori per la Bur, quando gli venne narrata e spiegata Anna Karenina: «Ma chel Tolstoj lì l’è minga el Dostoevskij?»)
Ebbe sempre una particolare simpatia per le collane popolari, per la cultura detta di massa”, con una vertiginosa conoscenza che Eco gli invidiava dei romanzi d’avventura e di quelli di sentimenti. Questo lo portò naturalmente all’amore per il fumetto, quando questa forma d’espressione creativa non aveva ancora conquistato una dignità d’arte. Che conquistò in Italia proprio grazie a lui e a Umberto Eco.
Ma Del Buono era anche scrittore in proprio, un romanziere avvertito e originale, colloquiale, che scavava in un mondo che gli apparteneva, quello di una piccola o media borghesia intellettualmente preparata e cosciente, nelle sue contraddizioni, nei suoi limiti ma si può anche dire nella sua forza. E oggi ci sarebbe bisogno di uno scrittore come lui per raccontare, per esempio, la piccola borghesia intellettuale degli scriventi («ogni cento scriventi uno scrittore», sentenziava la Morante...), con i suoi salotti e salottini, i suoi deficit di esperienza, i suoi pallidi riti e i suoi pallidi miti. Dove non c’è mai qualcuno o qualcuna che si accorge che questi possono magari essere «i peggiori anni della nostra vita».
Forse il suo capolavoro, il suo libro più duraturo, è ancora il primo, di recente ristampato da minimum fax con la prefazione di un altro super-redattore di casa editrice e scrittore in proprio, Ernesto Ferrero. È Racconto d’inverno, che uscì nell’anno di novità 1945 per una piccola casa editrice e rivista cattolica che si chiamava nientemeno che Uomo. Del Buono vi raccontava la sua prigionia di soldato italiano in mano a tedeschi non più alleati, sulle Alpi, e la sua fuga riuscita ma negata da un ritorno al lager per non morire, là fuori, di freddo... Quando poté infine rientrare a Milano, Oreste fu spettatore anche dell’impiccagione di Mussolini, della Petacci e di altri gerarchi a piazzale Loreto...
Nonostante la sua bravura di scrittore, Del Buono è ricordato soprattutto come animatore di «Linus», amato per questo da tanti, tantissimi lettori (quelli, per esempio, che sono cresciuti a base di «Peanuts»!). Ho collaborato anch’io, su sua richiesta a «Linus», e mi piace ricordare che, quando criticai aspramente il Moretti di Io sono un autarchico o di Ecce Bombo dicendo che non tutti i giovani del movimento del ’77 erano come il suo autarchico, ci furono un mucchio di lettere di settantasettini che mi insultavano dicendo «no, siamo così, e ci piace»... Andò avanti per molti numeri, ma ogni tanto c’era anche qualche lettera che mi difendeva, e solo molto tempo dopo Oreste mi disse che era lui che le aveva scritte! Per ristabilire un equilibrio... e per riattizzare la polemica...