il Fatto Quotidiano, 2 aprile 2023
Intervista a Sara Serraiocco
Alla fine si preoccupa. “Guardi che sono simpatica”. Teme di non esserlo stata? “Sono un po’ riservata, lo so. E ho una pessima memoria”.
Sara Serraiocco ha 32 anni e dai cineasti è ancora considerata l’enfant prodige del cinema italiano. Ha recitato per molti big, quasi sempre film autoriali (“anche per questo non sono così popolare”); ruoli duri, aspri, a volte sofferenti. Ora è la protagonista femminile dell’ultima pellicola di Gabriele Salvatores, Il ritorno di Casanova, dove si confronta con Toni Servillo (“quando l’ho conosciuto ho provato un certo timore”).
Le piace o le pesa il ruolo del giovane talento?
Dipende dai punti di vista; da giovane talento non si è incasellati in un ruolo specifico, quindi i registi sperimentano, cercano, ti permettono di crescere, di stupire.
Dieci anni dal debutto.
E sono volati.
Quasi un “unico set”.
Eppure all’inizio il tempo non passava mai, un po’ come accade a scuola nei primi anni delle superiori: uno guarda i quarti e quinti e li percepisce lontanissimi dalla propria quotidianità, poi un giorno ti accorgi di esserti diplomato.
Insomma, all’inizio…
Quei primi set li trovavo interminabili, mentre avevo voglia di apprendere il più possibile, di correre verso una meta non chiara; (pausa) invece se ripenso a quel periodo stavo investendo su me stessa, e nel profondo.
Ma non le bastava.
Ho imparato che esiste un tempo differente dall’idea che si ha; il punto è uno: avevo fame.
Di cosa, in particolare?
Vengo da una piccola realtà e non sono figlia d’arte, così mi sono trovata davanti a un contesto che non mi apparteneva e che credevo di non meritare; (cambia tono) in tante occasioni mi sono chiesta: “Ma che c’entro qui?”.
Soluzione?
Ho iniziato a creare la Sara che si è sviluppata con il tempo.
I punti di riferimento ai quali ispirarsi.
Intanto mi sono iscritta al Centro Sperimentale di Cinematografia; quando sono entrata ho guardato le foto appese e immediatamente ho pensato: “Sei sicura di poterci restare?”; (sorride, lievemente) i miei genitori non si aspettavano un percorso del genere.
L’hanno aiutata?
Erano spaventati e ancora lo sono perché è un lavoro da “oddio ora cosa sta accadendo”, dove la stabilità non esiste, mentre loro cercavano solo quella.
Cosa sognavano per lei?
Una professione normale, da stipendio fisso e certo.
Torniamo a Roma: si è sentita una provinciale?
Certo e aggiungo sfigatella.
Sfigatella?
Non mi sapevo vestire, avevo un forte accento abruzzese, non conoscevo le liturgie da grande città ed ero un ibrido tra colei che voleva diventare attrice e la ragazzina nata e cresciuta a Pescara.
Si sentiva inferiore…
No, no. Non cadiamo nel racconto della pecorella smarrita: sono stata anche abbastanza furbetta.
Qui esce fuori l’orgoglio abruzzese.
(Ride e ripete la frase).
Come si manteneva?
Con il mio primo film.
Niente cameriera.
Certo, pure.
Però lo taceva.
Aggiungo hostess, insegnante di danza e altro.
Niente enciclopedie porta a porta.
Solo perché non sono della mia generazione.
La recitazione è una passione o un’ossessione?
Una passione nata per caso.
Come?
Per tanti anni mi sono dedicata alla danza e con buoni risultati, tanto da partecipare a spettacoli professionali, fino a quando ho avuto un problema alla caviglia e un’amica mi ha consigliato un corso di teatro; (cambia tono) ho lavorato con dei veri maestri di cinema, tutti artisti con un grande percorso alle spalle.
Davanti a qualcuno di loro si è sentita in difficoltà
All’inizio con Toni Servillo: con lui ho provato un timore reverenziale, poi mi sono sciolta perché è dolcissimo, affabile e cerca sempre di mantenere una giusta apertura mentale.
Sul set chiede consigli a qualcuno?
(Stupita) Io? A tutti, non solo al regista o ai colleghi, ma anche ai vari reparti; ho girato una pubblicità per Armani ed è stata la costumista a insegnarmi come si indossa correttamente una giacca, non ero capace.
Il suo primo giorno di set.
(Arriva la donna di servizio e inizia a scusarsi, tra un po’ mortificarsi, per un non chiaro qui pro quo sulle chiavi, poi si scusa pure con chi scrive per la breve distrazione) Un ruolo per la serie R.I.S. e mi meravigliai di tutto…
Cioè?
Per raggiungere il set ero pronta a prendere la metropolitana, invece trovai davanti casa una macchina della produzione; poi mi portarono da mangiare e mi aspettavo al massimo un panino, infine per la scena non capivo qual era il meccanismo delle riprese.
Risultato?
Un disastro.
Si è sentita inadeguata?
No, da ragazzini si è ingenui: ero felice di quello che accadeva; la paura e i dubbi giungono con gli anni.
Sul set è difficile gestire gli infiniti tempi morti.
I primi tempi restavo nel personaggio.
Tradotto?
Tra una scena e l’altra mantenevo il ruolo, studiavo, cercavo di tenere alta la concentrazione. E per delle ore, pure dieci consecutive. Quando se ne sono accorti mi hanno spiegato qual è la strada giusta: “Sara, così ti stanchi, rischi di arrivare scarica al ciak”.
Quando si è rivista?
È stato un impatto forte, non mi piacevo.
E oggi?
Neanche, però mi serve per capire gli errori.
Cosa l’ha stupita del mondo del cinema?
Forse mi ripeto, ma all’inizio mi ha stupita far parte di un cast, mi sembrava tutto incredibile…
Poi?
È un lavoro quindi è normale affrontare delle delusioni e capire qual è la corretta distanza.
Delusioni, quali?
Dei provini andati male o un film che non è iniziato.
I film dove recita spesso vanno ai Festival.
Sono momenti magnifici; (sorride) amo frequentarli, anche scegliere il vestito giusto e non è un aspetto da sottovalutare.
Il narcisismo è nel gioco.
Ma se uno si prepara per i matrimoni, non può impegnarsi anche per un festival?
Ai festival ha mai incontrato qualcuno dei suoi miti?
Non mi è mai interessato, sono persone normali che si sono ritrovate in questo lavoro.
Si senta una persona normale?
Assolutamente sì.
Non si sente speciale.
No, per niente.
Ci sarà un aspetto della sua vita dove si sente speciale.
Oddio, non lo so; magari sono speciale per mia figlia, anzi lei è più speciale per me (ha otto mesi).
Si sente un’artista?
A mio modo.
Servillo, rispetto al film e ai registi, sostiene che vengono fuori i capricci, le vanità e le fobie…
È come Gabriele ha voluto descrivere tutti gli aspetti di un cineasta quando è impegnato su un set.
Ed è così?
Quando si gira un film si vive in una bolla, ma la realtà è altro.
Si lascia sedurre dalla bolla?
No, me ne rendo conto e chiuso il ciak rientro in me stessa, torno nella mia esistenza, nel mio quartiere, nei miei rapporti, nelle solite abitudini costruite.
Non fa la diva.
La fama non l’ho mai percepita, anche perché siamo in un momento storico in cui l’attore non ha lo stesso appeal di un tempo.
Viene fermata per strada?
Giusto ogni tanto, con la frase generica “ti ho visto in un film, complimenti”. Mi piace tanto.
Insomma, i registi sono come li descrive Salvatores.
Alcuni sì, però mi rendo conto che per girare un film è necessaria tanta pazienza.
Com’è Michele Placido?
Con lui vince l’imprevedibilità: ogni scena può cambiare in qualunque momento.
Alessandro Haber.
Un bagno di follia: devi lasciarti andare, non contrastare la corrente.
C’è chi lo ritene quasi pericoloso.
Capisco, perché per Haber non esistono le sfumature.
Michele Riondino.
Attore super professionale e gran persona: con lui ho girato uno dei miei primi lavori ed è stato importante incontrarlo in quella fase.
Alessandro Gassman.
Ha una presenza simile a una statua: elegante, forte, padrone della scena; la sera, chiuso il set, è bello sentirlo raccontare del padre.
Gabriele Salvatores.
Un maestro, eccezionale. Ama gli attori, li protegge e ci si ritrova in una condizione di beatitudine.
Cederà mai ai ritocchini?
(Resta in silenzio) Preferirei di no, ma chi lo sa?
Primo sfizio tolto con i soldi guadagnati.
Dopo dieci anni di lavoro ho comprato una casa.
Personaggio letterario preferito.
Alexander Portnoy di Roth.
Personaggio di un film.
(Ci pensa) Non mi viene; non ricordo mai niente, il mio compagno me lo dice sempre.
La sua vanità.
Lo smalto sulle mani.
Fobia.
L’areo.
Cosa è accaduto con Sgarbi a Venezia?
(Tra i due attimi di imbarazzo per la mascherina non indossata al Festival dal critico e lei ha chiesto di mantenere la distanza) Passo.
Insistiamo.
Anche io, passo. Non sia cattivo.
Chi è lei?
Una ragazza che ha avuto la fortuna di svolgere un lavoro che le piace e di vivere una vita tranquilla con il suo compagno e la sua pupetta.
Ha risposto a questa domanda con la vocina da fiaba.
(Ride) Davvero?