Avvenire, 2 aprile 2023
Su Anna Magnani
Ci si è dimenticati anche della Magnani (morta 50 anni fa nel ‘73), l’attrice cinematografica più famosa del Novecento italiano, l’ indimenticabile “sora Pina” di Roma città aperta, il film di Roberto Rossellini che nel 1945 segnò la rinascita non solo del nostro cinema, anche del nostro paese. Si disse allora che quel film fece di più per l’accettazione dell’Italia nel nuovo quadro mondiale di qualsiasi altro evento – perché seppe narrare le pene di un popolo asservito al fascismo, seppe dire al mondo che l’Italia non era soltanto quella di Mussolini e che, anche la sua parte maggioritaria che era stata con convinzione fascista, aveva dovuto ricredersi amaramente nell’esperienza della guerra e dell’occupazione nazista, sofferta in misura non minore a quella di altre nazioni europee. Della Magnani ho due ricordi personali forti, anche se non l’ho mai conosciuta. La vidi infatti una notte in corso Vittorio a Roma girare una scena insieme a Totò e diretta da Monicelli, per il film Risate di gioia, non uno dei loro film migliori, ma he ebbe il merito di mettere di nuovo insieme due grandi del teatro di rivista, ché avevano “fatto compagnia” per molti anni e attraverso spettacoli memorabili. (La Magnani raccontò che, per abituarla all’arte dell’improvvisazione, nella rivista Orlando curioso Totò entrò in scena vestito non da Orlando ma da Tarzan, come in un’altra rivista...)
La seconda volta fu, in una sera d’estate dopo il tramonto, a piazza di Spagna, dove mi incantò vederla su una carrozzella insieme a Tennessee Williams, che scrisse poco tempo dopo per lei La rosa tatuata, una commedia da cui fu tratto a Hollywood un film che la vide a fianco di Burt Lancaster e premiata con l’Oscar come migliore attrice “americana” del 1953. Ma, se in teatro, da noi, il nome dellaMagnani era accostato a quello di Totò, in cinema il nome della Magnani era piuttosto accostato a quello di Aldo Fabrizi, per alcuni bei film populisti degli anni di guerra e ovviamente per quello di Rossellini, il regista di cui, dopo il matrimonio con Goffredo Alessandrini, ella fu per un tempo compagna di vita e di arte, fino a quando dall’America non arrivò Ingrid Bergman. E se la Bergman fece Stromboli, la Magnani volle fare, con un regista americano, un infelice Vulcano. Tuttavia almeno due altre grandi interpretazioni ella dovette a Rossellini, quelle di Il miracolo e di La voce umana per il film Amore, in due ruoli assai diversi tra loro.
Fu ancora grande la Magnani in Mamma Roma di Pasolini, anche se l’accostamento tra la sua Roma e quella del poeta friulano non fece le scintille che ci aspettavamo, e fu grandissima in Bellissima di Luchino Visconti, un capolavoro che non sarebbe stato tale senza la Magnani, e che il regista costruì su di lei, in doveroso omaggio alla sua grandezza e alla sua personalità... Quando la Magnani morì, mi dolsi con Elsa Morante di non averla conosciuto, e lei mi rimbrottò aspramente: «Bastava che me lo dicessi e la portavamo a cena da qualsuo che parte, e ne sarebbe stata contenta». Mi stupii che fossero state amiche, ed Elsa mi spiegò con santa pazienza che due persone che sono state ugualmente innamorate di una terza (in questo caso infelicemente, perché Luchino Visconti non era interessato alle donne anche se tante ne affascinò e si compiacque di affascinarne) hanno molto in comune, e possono intendersi benissimo tra loro... Un’altra cosa la Morante ebbe a spiegarmi, che Roma – la Roma dove era nata e cresciuta e che conosceva in tutte le sue componenti, la Roma a cui marito Alberto Moravia dedicò i bellissimi Racconti romani – era una città assolutamente e visceralmente “belliana”, che era stato “il Belli” a raccontare meglio il suo popolo e non il cinema del “neorealismo rosa”, che ella detestava. E la Magnani, nata a Roma nel 1908, era una figlia di quel popolo e di quel poeta...
Se “Nannarella”, come la chiamavano affettuosamente i romani con un vezzeggiativo che le fu molto caro, fu grande come non mai in Bellissima e più che in Mamma Roma proprio perché Visconti ne comprese un aspetto fondamentale della sua sensibilità, quello della maternità. E non conosco altri personaggi di madre che ne siano stati all’altezza nella produzione artistica del nostro. La Magnani ebbe infatti (da Alessandrini) un figlio con problemi fisici di handicap, un figlio amatissimo che fu al centro della sua esperienza umana, affettiva. Solo la Iduzza della Morante in La Storia mi ha dato un’idea di maternità altrettanto piena, coinvolgente..