il Giornale, 1 aprile 2023
Giallini torna Schiavone
L’identificazione fra ruolo e interprete è un classico che caratterizza la fortuna di molti personaggi. Compresa quella di Rocco Schiavone. Molti sono convinti che il ruvido, malinconico e «scorretto» vicequestore, protagonista dell’omonima serie, incarni amabili scontrosità e ispide inquietudini del suo stesso interprete, Marco Giallini. E in effetti, almeno in parte, è proprio così. «Un bel po’ di lui lo riconosco in me ammette l’attore -. Caratterialmente mi ci ritrovo moltissimo. Sono indolente, malinconico, sbrigativo esattamente com’è lui. Anche il buco nero che ha dentro di sé assomiglia al mio; chi di noi, del resto, non ne ha uno? Il mio, poi, è proprio nerissimo». Solo il mestiere, non gli appartiene: «Io non mi alzo certo alle sei del mattino per andare a guardare in faccia qualche morto». Ma è indubbio che quest’assimilazione fra personaggio e attore faccia la delizia dei numerosi fans di Rocco Schiavone (da mercoledì 5 su Raidue alla quinta stagione, per la regia di Simone Spada). Un po’ meno quella dei giornalisti, costretti a fare lo slalom tra spiritosaggini divaganti e battute irriferibili del suo interprete; esattamente come farebbero con quelle del vero (se esistesse) Schiavone. «Il segreto del successo di questo personaggio? Io stesso ride Giallini-. E poi il fatto che è molto ben scritto. La prima volta che lessi la sceneggiatura, ricordo, ero in treno. Me ne innamorai all’istante. Era sempre stato il mio sogno fare un personaggio così: tormentato, irrisolto, un po’ border line. E poi, come mio padre, io adoro i personaggi in stile noir». A furia d’interpretarlo ti innamorerai perfino di Aosta (dove la serie è girata), gli predissero. «Questo non è accaduto, perché io detesto neve e freddo. Però è vero che, alla quinta stagione, ogni volta che torno da quelle parti è come se tornassi a casa». Per il regista della serie, Simone Spada, «la fortuna di Rocco è proprio quella d’essere un personaggio imperfetto. La gente se lo sente vicino: sente di essere rappresentata da lui». E tra i fans della serie ci sono pure i figli del protagonista, Rocco e Diego. «Studiano tutti e due, fanno il liceo classico, Il maggiore vuole fare del cinema, ma non come attore: ha già lavorato per Paolo Genovese nel reparto fotografia». D’altra parte, rivela Antonio Manzini, autore dei libri dai quali lui stesso ha tratto la sceneggiatura con Maurizio Careddu, «un poliziotto come Schiavone è esistito davvero. Lo chiamavano il Gabbiano, lavorava alla Mobile di Roma: professionalmente un genio, un disastro nella vita privata. È morto di overdose dentro la sua auto». Del resto, commenta Manzini, «etica e morale sono due treni che si scontrano spesso. Chi di noi non ha dei limiti, anche gravi? Schiavone non si preoccupa di nasconderli né si vergogna di ammetterli. Proprio questa è la sua forza». Per l’autore dei romanzi l’identificazione fra il personaggio di carta e quello televisivo non è però inevitabile. «Non faccio che ripetere a Marco quanto sia felice che lui abbia accettato d’interpretare Rocco. Ma anche se per me lui è diventato ormai come uno di famiglia, il suo volto rimane ben separato da quello di Rocco, quando ne scrivo sulla carta. È quanto accade a tutti i lettori dei miei libri. Ognuno ha, di Rocco, la propria immagine». Alla fine della serie precedente il personaggio era rimasto gravemente ferito; «All’inizio di questa lo troveremo già guarito, ma come segnato dentro anticipa l’attore -. E dunque provato, disilluso, stanco. Più stanco e disilluso di quanto già non sia abitualmente». Ma se Giallini si trovasse al posto di Schiavone, come si comporterebbe nelle sue stesse situazioni? «Ah: ne combinerei di tutti i colori. Ne farei quante lui; forse anche di più. Forse m’arresterebbero». Anche lui detesta le rotture di scatole: «Soprattutto gli stupidi. Quelli che non capiscono. Che ti guardano ma non ti vedono». Seguirebbe Rocco in tutto, «tranne che in una cosa: la marijuana». A proposito della quale, a chi gli ricorda le polemiche e l’interrogazione parlamentare che sei anni fa ne accompagnarono il clamoroso debutto, Giallini ribatte con intenzionale distacco: «Gli attacchi della destra? Ognuno fa il proprio lavoro. E la destra fa il proprio».