il Giornale, 1 aprile 2023
Biografia di Clemente Solaro della Margarita
Salvator Gotta autore di opere popolari come Il piccolo alpino e Ottocento talora tradotte in pellicole o in sceneggiati televisivi fu un narratore prolifico specializzato nel romanzo storico. Lo ricordo con affetto e un pizzico di nostalgia perché, sul finire degli anni settanta, lo convinsi, lui ormai ritiratosi a Rapallo, a riprendere la penna in mano e a collaborare a un quotidiano. Era un monarchico «assolutista»: aveva fatto parte di una Colleggiata di scrittori monarchici creata da Giuseppe Brunati attorno al periodico reazionario Il Principe. Molti suoi romanzi, per i quali si documentava con scrupolo maniacale, facevano rivivere l’atmosfera del Risorgimento. Uno di questi, Addio vecchio Piemonte!, aveva per protagonista il principe Clemente Solaro della Margarita che fu ministro degli Esteri di Carlo Alberto ma che non ebbe, dal punto di vista storiografico, una grande fortuna perché liquidato come «reazionario». Il ritratto, fisico e morale, che ne fece Gotta è vivace e suggestivo: «non alto, ma di tratti fini; castani scuri i capelli, pallido, cilestri e pensosi gli occhi, volitivo il naso alquanto arcuato, bella la bocca ed il sorriso tra l’ironico e il bonario; belle e arcuate le mani su cui metteva una nota di fiamma la corniola stemmata che portava al dito; fine, sagace, pronto, elegante, leggere basette gli davano quell’aspetto di sognatore, di sentimentale di moda a quel tempo». Era anche su questo punto le testimonianze anche di chi, come Massimo d’Azeglio, si trovò con lui a dover discutere un uomo gradevole e affabile. Ma le sue idee erano tutt’altro che moderne e nulla concedevano al liberalismo ottocentesco e ai «tempi nuovi». Una summa delle idee di Solaro della Margarita è contenuta negli aforismi che costituiscono il suo piccolo volume Avvedimenti politici (Aragno, pagg. XVIII-120, euro 15) curato da Stefano Verdino. Non si tratta certo della sua opera più importante ben più significativa e meritevole di ristampata sarebbe stato, per esempio, il celebre Memorandum storico-politico, tuttora fonte imprescindibile per la conoscenza della politica estera dello Stato piemontese nell’età albertina ma è pur sempre un’ottima introduzione al pensiero politico di uno statista e di un intellettuale i cui scritti erano particolarmente apprezzati da altri sostenitori della cosiddetta «buona causa» a cominciare dal fondatore di La civiltà cattolica, padre Luigi Taparelli d’Azeglio. Nelle pagine degli Avvedimenti è racchiusa una visione teocratica inossidabile dove l’eco dei teorici più noti della «reazione» europea del tempo da Joseph de Maistre a Juan Donoso Cortes fino a Carl Ludwig von Haller è ben percepibile. Per Solaro «in Dio è la sorgente d’ogni autorità» e «volerla derivare dal popolo è un attentato all’alto e supremo suo dominio»; la monarchia deve essere aristocratica perché «un monarca non circondato da nobili, è come un diamante incastrato nel piombo»; il contrattualismo è da rifiutare perché «il patto sociale non ha esistito mai» dal momento che «l’uomo si associa per istinto di natura» e «la forza di natura è più che un patto»; i diritti sono subordinati ai doveri poiché «nell’adempimento dei doveri reciproci sta il mantenimento deì reciproci diritti» e via dicendo. L’impalcatura ideologica di Solaro della Margarita mostra com’egli, conservatore d’antico stampo e convinto legittimista, fosse davvero, come ha fatto rilevare in bel saggio di alcuni anni or sono l’ambasciatore Antonio Ciarrapico «un genuino rappresentante dell’età della Restaurazione», ma anche un fedele servitore della dinastia sabauda e, soprattutto, una personalità politica di tutto rispetto la cui opera non può essere liquidata semplicisticamente presentandola come quella di un uomo che incarnava idee e valori opposti a quelli che sarebbero stati portati avanti da Cavour. La contrapposizione troppo spesso evocata fra i due statisti (e all’origine della loro fortuna o sfortuna storiografica) non ha, secondo lo studioso, alcun senso perché essi pur avendo una diversa idea dello Stato e della politica nonché del ruolo dei Savoia furono, legittimista il primo e liberale il secondo, leali, devoti e disinteressati sudditi e servitori della Dinastia. La verità è che Solaro della Margarita (1792-1869) aveva maturato una concezione teocratica della politica sia attraverso gli studi sia attraverso le frequentazioni degli ambienti aristocratici e antinapoleonici piemontesi d’inizio secolo sia ancora attraverso l’attività diplomatica come segretario della legazione sarda a Napoli all’epoca della rivoluzione del luglio 1820. Si era convinto sempre più del fatto che contro l’infezione rivoluzionaria fosse necessario un governo efficiente, «religioso e giusto» ma anche «forte e paterno». Quando, dopo averlo avuto per qualche tempo come ambasciatore a Vienna, lo volle come ministro degli Esteri, Carlo Alberto trovò in lui un collaboratore leale, competente e preparato le cui idee riflettevano, certo, quelle prevalenti nel regno sabaudo prima della svolta del 1848, ma trovò anche una figura dotata di buon senso e di realismo politico, capace quindi di svolgere una azione in qualche misura moderatrice e in grado di valutare con esattezza la situazione internazionale. A prescindere dal comune sentimento reazionario dovuto allo studio di De Maistre, i due erano molto diversi, soprattutto di temperamento. Tuttavia, Carlo Alberto nutrì sempre profonda stima e grande affetto nei confronti del suo Ministro che non a caso ricoprì quella carica per ben dodici anni, dal 1835 al 1847. Si convinse, e malvolentieri, a rinunciare ai suoi servigi soltanto di fronte alle agitazioni popolari per le riforme costituzionali. Solaro della Margarita per qualche tempo leader della Destra cattolica e principale oppositore di Cavour si ritirò di fatto dalla politica dopo l’unità ma continuò a scrivere. Il suo lealismo dinastico non venne mai meno. Nel Memorandum storico-politico egli scrive: «Io fui, durante il mio lungo ministero, l’alfiere destinato a portar l’antica azzurra bandiera della Real Casa di Savoia; a portarla finché sorgesse il giorno d’inalberare il vessillo della rivoluzione». Che è un’affermazione, come si vede, di accettazione della nuova realtà venuta fuori dal Risorgimento. Del resto egli a differenza del suo amato sovrano, talora troppo irrequieto, istintivo e ambizioso aveva pur contribuito, sfruttando i contrasti fra le grandi potenze e impostando una politica di piccoli passi, a trasformare (cosa che rivendicò nel Memorandum) il Regno sabaudo nella più importante delle piccole potenze facendole acquisire quel credito internazionale che, in seguito e in circostanze mutate, si sarebbe rivelato prezioso. Clemente Solaro della Margarita non fu affatto quell’ottuso reazionario di simpatie austriacanti che è stato tramandato dalla agiografica storiografia risorgimentale. Fu una figura molto più complessa: reazionario e legittimista certo, ammiratore del sistema imperiale asburgico pure, cattolico integralista anche, ma di sicuro non austriacante tanto da opporsi a ingerenze o tentativi di ingerenze politiche. Convinto, onesto e solerte servitore del suo Stato, lo Stato Sabaudo, è una figura, insomma, da riscoprire e da ristudiare collocandola nel suo periodo storico.