Corriere della Sera, 1 aprile 2023
Jean Todt si racconta
Domattina vedrà il Gp d’Australia, «ma la vita è fatta di capitoli. Nella mia ci sono stati quelli con la Peugeot, con la Ferrari, e con la Fia. E ora mi dedico alla sicurezza stradale da inviato speciale delle Nazioni Unite, bisogna combattere la “pandemia silenziosa” sulle strade. Giro il mondo alla ricerca di soluzioni. E festeggio la nuova campionessa del mondo che ho in casa: la mia compagna». Sorride Jean Todt parlando dell’Oscar a Michelle Yeoh, migliore attrice protagonista nel film «Everything Everywhere All at Once». Ma il pensiero torna all’agenda, dove in una parte c’è uno spazio per l’International Peace Institute di New York di cui è presidente.
Tanti incidenti sono provocati dalla distrazione, dall’uso del telefono al volante. Come si fa a far arrivare il messaggio?
«Lanceremo una campagna a livello mondiale, in mille città: compariranno Leclerc, Mick Schumacher, Patrick Dempsey, Michael Fassbender, il premio Nobel Malala. Useremo gli influencer per educare i giovani a guidare meglio in macchina».
Potrebbe godersi la pensione e invece lavora a tempo pieno per il sociale. Perché?
«Perché ora ho molto più tempo libero, mi ritengo un uomo fortunato ed è bello dare indietro qualcosa. Con un gruppo di amici abbiamo creato l’Istituto di ricerca per il cervello e il midollo spinale a Parigi. Siamo numero due al mondo, nel nostro campo abbiamo mille ricercatori. Salute e sicurezza per me sono le priorità, le corse sono servite da laboratorio per la strada. Dopo aver lasciato la Fia mi sono trovato davanti a un bivio».
Quale bivio?
«Sentivo la necessità di vincere altre corse, in altri terreni».
Sa che in tanti dentro la F1 la rimpiangono?
«Sento poche persone lì dentro. Stefano Domenicali: dopo essere stato un mio collaboratore per 16 anni è diventato un amico. Mio figlio Nicolas (manager di Leclerc ndr), sono felice di non essere più un’ombra per lui. Ero più un disturbo che un aiuto. La vita è una successione di capitoli, l’ho raccontata in documentario e poi uscirà anche un libro».
Ci metterà anche la notte degli Oscar?
«È stato come vincere un Mondiale. Arrivati a Los Angeles pensavamo di avere delle chance, ma non puoi saperlo finché non si apre la busta. Quando hanno fatto il nome, ero felicissimo. So gli sforzi di Michelle, la prima attrice asiatica poi...».
Quando è che aveva provato una gioia simile?
«A lei ho detto all’orecchio: “Provo la stessa sensazione di quando ho portato Michael (Schumacher ndr) nel 2000 a Suzuka”. Stava scrivendo la storia. Perciò dico che abbiamo una nuova campionessa del mondo in famiglia».
Lei va sempre a trovare Michael. Si sentono tante voci, come fanno a parlare tanti che non lo hanno mai visto dopo l’incidente?
«Lasciamolo tranquillo, rispettiamo la volontà di privacy di Corinna e dei figli, sappiamo che quell’incidente ha avuto delle conseguenze. Chi dice che sa qualcosa, non sa niente. Vado sempre a trovarlo. Lui e la sua famiglia sono la mia famiglia».
I Gp in tv li segue ancora?
«Di tutto. Rally, endurance, Formula E. Parlo con Domenicali prima e dopo le gare, ho visto il Bahrein e Gedda: quando c’è il Gp non prendo impegni».
Forse il suo amico Domenicali è preoccupato. La Red Bull sembra imbattibile…
«È molto forte, ma c’è anche l’Aston Martin: è cresciuta più di tutti da un anno all’altro».
L’Aston Martin ha dimostrato che il salto è possibile, che cosa serve?
«Tempo e buone decisioni per prendere la gente giusta e metterla al posto giusto».
Quando lei arrivò alla Ferrari prese i migliori tecnici.
«Non solo tecnici. È indispensabile avere i migliori in ogni area. Un’azienda si giudica dalla porta d’ingresso. Dal modo in cui un operatore risponde al telefono. Bisogna prendere i migliori e poi coordinarli creando un ambiente fertile».
Non dovrebbe farlo la Ferrari?
«Non sta a me giudicare. Dico solo che auguro il meglio alla Ferrari».
Conosce Vasseur?
«Poco. Lo conosce meglio mio figlio, hanno lavorato insieme».
A molti Verstappen ricorda Schumacher. A lei?
«Veloce, sbaglia poco. È un combattente come Michael. Ma a livello umano conosco Max troppo poco per giudicarlo. Michael quando correva poteva sembrare un po’ presuntuoso e antipatico, ma era un atteggiamento che serviva a nascondere la sua timidezza. Era umile, si metteva sempre in dubbio. Non ha mai accusato la squadra, neanche quando a Silverstone per colpa nostra si sono rotti i freni. Non faccio paragoni ma un punto in comune lui e Max lo hanno».
Quale?
«Guidano per la squadra migliore e questo aiuta».
Leclerc sarebbe in grado di fare ciò che fa Verstappen se fosse nella squadra migliore?
«Sicuro. In F1 esistono quelli bravi, e poi un piccolissimo gruppo di bravissimi di cui Leclerc fa parte».
Abu Dhabi 2021, finale fra le polemiche. Se potesse tornare indietro agirebbe in maniera diversa?
«Io non ho fatto nulla, non è il ruolo del presidente della Fia. Gli arbitri devono essere autonomi, ha mai sentito Infantino dire “Qui c’era un rigore, e qui invece no”? Nel documentario (Jean Todt, la méthode ndr) si vede che sto guardando quella gara nella casa di campagna insieme alla troupe. Mi chiamano Horner e Wolff e a loro rispondo: “Non posso interferire, è responsabilità dei commissari e del direttore di gara”».
Ferrari, sedici anni senza vincere. Se lo aspettava?
«Senza vincere un titolo, però ha vinto delle gare. La Ferrari resta, da quando me ne sono andato, una delle squadre migliori in F1. Manca qualcosa, è protagonista ma non ancora per il campionato. Diamogli tempo di dimostrare di essere in grado di percorrere l’ultimo passo».
Che regalo ha fatto a Michelle per l’Oscar?
«Glielo ho fatto prima, mi sentivo che avrebbe vinto».