Corriere della Sera, 1 aprile 2023
Cosa ha detto La Russa su via Rasella
«Non sarà il primo 25 Aprile che celebro, sono andato da ministro della Difesa a rendere omaggio al monumento dei partigiani, ho portato un mazzo di fiori a tutti, anche ai partigiani rossi che, come è noto, non volevano un’Italia libera e democratica ma volevano un’Italia comunista». Di buon mattino il presidente del Senato Ignazio La Russa, nel podcast di Libero , seppur in maniera critica annuncia con queste parole la sua presenza alle prossime celebrazioni.
Ma è solo la quiete prima della tempesta. Perché la seconda carica dello Stato, incalzata sempre sulla Liberazione, subito dopo evoca la strage di Via Rasella: «È stata una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza: quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani, antifascisti e non».
Pochi minuti e, su agenzie e social, piove un fiume di condanne unanime da tutte le opposizioni. «Parole indecenti, inaccettabili per il ruolo che ricopre», commenta la segretaria del Pd Elly Schlein. «È grave che la seconda carica di uno Stato nato dalla guerra di Liberazione parli di via Rasella e della lotta partigiana in questo modo – attacca Francesco Boccia, presidente dei senatori dem —. Siamo di fronte a un esempio di revisionismo storico che, inoltre, sposa il punto di vista dei fascisti». Gli fa eco Francesco Silvestri, capogruppo alla Camera del M5S: «L’ennesima dichiarazione revisionista di La Russa non nasconde solo rigurgiti ideologici che una destra seria e moderna dovrebbe aver superato, ma anche il palese tentativo di distrarre l’opinione pubblica dalle inadeguatezze di questo governo». Il leader di Azione Carlo Calenda, invece, si dice «ammirato dalla determinazione con cui La Russa sta riuscendo a dimostrare ogni giorno la sua inadeguatezza come presidente del Senato». Dura anche la condanna dell’Anpi: «Parole semplicemente indegne», dichiara il presidente Gianfranco Pagliarulo. E la leader della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, twitta: «Non erano musicisti, ma soldati delle SS che occupavano il Paese con la complicità dei fascisti e che deportavano gli ebrei».
Ma se la critica di centrosinistra e Terzo polo può essere ritenuta scontata, non lo è il marcato fastidio provato da Giorgia Meloni in un momento così delicato per il Paese, con i miliardi del Pnrr attaccati a un filo. Insomma: questo fuoriprogramma andava più che evitato, è la reazione della premier. E sulla stessa linea d’onda sono anche altri compagni di partito, alcuni dei quali figliocci politici dello stesso La Russa.
Il presidente del Senato, che ha iniziato presto la sua militanza con l’Msi, sempre a Libero aveva ricordato i duri scontri con la sinistra: «Le ho date una volta sola: due schiaffi a un ragazzo che mi diede del fascista e mi cacciò dall’università a pedate. Venni allontanato con qualche calcio, poi lo incontrai di nuovo, gli ho dato due sberle. È stata l’unica volta che ho usato le mani. Le ho prese invece una volta, la mia fidanzata, poi moglie, mi salvò da un colpo di chiave inglese in testa. Loro erano 2 mila, noi 100».