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 2023  aprile 01 Sabato calendario

L’uomo che salvò Primo Levi

«Non me ne importa niente», così deve aver risposto più di una volta Lorenzo a Primo nel Lager di Monowitz nel 1944 quando gli ricordava che così metteva a repentaglio la sua stessa vita. Lorenzo, un muratore piemontese, originario di Fossano, nato nel 1904, e Primo un dottorino in chimica, figlio d’una famiglia borghese deportato ad Auschwitz perché ebreo, di quindici anni più giovane. Di Lorenzo Perrone (con una o due r) non è rimasta quasi memoria, mentre Primo Levi è oggi uno dei più importanti testimoni dello stermino degli ebrei d’Europa e uno scrittore noto in tutto il mondo. Tuttavia proprio Lorenzo con il suo comportamento ha salvato la vita di Primo. Carlo Greppi, giovane storico, s’è messo sulle tracce di Lorenzo e ha provato a ricostruirne la storia in un libro, Un uomo di poche parole.Sulla base di ricerche precedenti e d’una propria serratissima investigazione Greppi ha scandagliato il rapporto che legava questi due uomini così diversi per età, classe sociale, indole ed esperienze. Lorenzo è un uomo fatto quando parte per diventare “operaio volontario” del Terzo Reich con una ditta italiana. Ha un soprannome non lusinghiero affibbiatogli al paese d’origine, “il Tacca”, per via del suo comportamento d’attaccabrighe. Vive ai margini del consorzio civile e lavora come manovale; nel corso degli anni ha più voltevarcato clandestinamente il confine con la Francia per andare a lavorare. È un uomo che conduce una vita randagia, ha famiglia e parenti, tuttavia il suo spirito libero unito a un carattere ruvido, persino insolente, gli fanno preferire la solitudine. Cosa ha spinto questo uomo a raccogliere ogni sera nel cantiere dove lavorava nei pressi del Lager di Monowitz gli avanzi del pasto degli altri operai, portati lì come lui per tirare su muri della fabbrica di gomma sintetica,Buna, e consegnarli, a rischio della propria vita, a Primo e al suo amico Alberto? E cosa l’ha indotto a scrivere per conto di Primo due lettere ai parenti in Italia per far sapere che il loro congiunto era vivo?
La domanda che si pone l’autore del libro è radicale: perché il bene e non invece il male? Perché Lorenzo non si è girato come tanti dall’altra parte? Oltre che uno storico Greppi è anche un abile narratore, mette insieme tutto quello ciò che si sa di Lorenzo attraverso le poche testimonianze; la più importante di tutte è quella di Levi stesso. Ne ha scritto inSe questo è un uomo e in un racconto uscito dopo la morte del suo salvatore, Il ritorno di Lorenzo; ne ha anche parlato in diverse interviste. Ma è in una sola frase che Levi ha riassunto il senso dell’intera vicenda: «La storia della mia relazione con Lorenzo è insieme lunga e breve, piana ed enigmatica». Quattro aggettivi perfetti, di cui uno, “enigmatica”, contiene la risposta alla domanda: perché il muratore di Fossano l’ha aiutato?
Tornato a piedi dal Lager polacco, Lorenzo Perrone s’è poi lasciato progressivamente morire, un vero e proprio suicidio attraverso l’alcool e l’incuria di sé. Quello che aveva visto ad Auschwitz l’aveva devastato? Probabilmente sì, scrive Levi, e così afferma lui stesso in una succinta lettera di proprio pugno al chimico. Tuttavia c’è qualcosa di enigmatico, qualcosa che è poi il cuore di questo bellissimo libro, qualcosa che aleggia come una presenza nel corso dell’intero volume, a cui Greppi s’avvicina in punta di piedi usando le parole d’un romanzo, Uomini vicino alla vita, di Ulrich Alexander Boschwitz. Lorenzo era un clochard, un vagabondo, una creatura ai margini della sua stessa società d’origine; un uomo tormentato e sofferente sin da ragazzo. Primo, che si è interrogato sul senso della socialità umana nel luogo stesso della sua abolizione, ha cercato in ogni modo d’aiutarlo. Nell’ultimo periodo della vita di Lorenzo è andato a trovarlo ogni settimana. Per quanto avesse una casa, Perrone era simile al misterioso protagonista del racconto di Melville, Bartebly lo scrivano: un uomo che pronuncia più volte il suo «Preferisco di no», poi si lascia morire accoccolato a un muro. Da un lato, il sopravvissuto di Monowitz, che scrive per svelenirsi da Auschwitz, e in questo modo diviene un grande scrittore, dall’altro il suo salvatore, posto su un gradino sociale più basso, che tuttavia a rischio della propria vita aiuta chi si trova più in basso di lui. Il titolo del primo libro di Primo Levi, Se questo è un uomo, interroga ancora oggi la storia d’ogni Lorenzo Perrone, e lo fa con un’attualità assoluta. Chi sono i barboni che dormono all’addiaccio nelle nostre città o i migranti che muoiono sulle rive delle nostre coste, se non altrettanti Lorenzo? Lo sono nonostante le loro differenti storie, uomini e donne che attendono d’essere salvati da tutto, a partire dall’oblio cui li condanna la storia, la piccola e la grande storia, il gorgo in cui sono finiti senza colpa o volontà alcuna com’è accaduto a Primo Levi.