La Stampa, 1 aprile 2023
Visco e il lungo addio a Bankitalia
Comincia ufficialmente la corsa alla successione in Banca d’Italia. Ieri, le parole del governatore Ignazio Visco all’Assemblea dei partecipanti hanno ricordato a tutti che il suo mandato scade e dal 1° novembre qualcun altro dovrà subentrare alla testa di una istituzione alle prese con una novità: causa cambio delle politiche monetarie Bce, il bilancio 2023 sarà (senza danni) in passivo.
Ci si pensava poco forse perché mai come questa volta la scelta appare scontata: Fabio Panetta. Tutto sembra giocare a suo favore, dalla indiscussa competenza, al lungo e prestigioso curriculum, alle idee. Oppure no? In occasioni precedenti, il centro-destra al governo sulla Banca d’Italia ha litigato assai, senza che nemmeno si capisse fino in fondo perché.
A Panetta, 63 anni, romano, dal 2020 a Francoforte come membro del Comitato esecutivo a sei della Bce, nei sei mesi precedenti direttore generale, ovvero «primo vice-governatore» nella dicitura inglese, l’attuale maggioranza potrebbe tutt’al più rimproverare di aver rifiutato il posto di ministro dell’Economia nel governo Meloni. Ma certo quel posto gli si attagliava di meno.
È un uomo di banca centrale in tutto e per tutto, Panetta, anche perché non si è mai occupato d’altro. Entrò negli uffici di Via Nazionale a 26 anni, subito dopo gli studi alla London School of Economics e alla London Business School. Pare il personaggio giusto al momento giusto: viene da una famiglia di cattolici conservatori, è in ottimi rapporti con l’attuale governatore Ignazio Visco.
Per conto della Bce ha detto senza mezzi termini che le criptovalute sono una speculazione e una truffa. Si è guadagnato la reputazione di capofila delle «colombe» più prudenti nell’alzare i tassi di interesse; benché sia lui sia Visco, contrariamente a quanto molti ritengono in Italia, nell’ultima riunione del consiglio abbiano votato a favore dell’aumento di mezzo punto.
In teoria, potrebbe anche preferire di restare a Francoforte, in un posto che diventa sempre più importante mentre le banche centrali nazionali perdono peso (da quando c’è l’euro, la Banca d’Italia ha perso oltre un terzo dei suoi dipendenti) e che potrebbe occupare fino a fine 2027. Ma chi lo conosce prevede che sceglierà Roma.
Altri nomi in pista non se ne vedono. Avrebbe il prestigio necessario Daniele Franco, già direttore generale della Banca d’Italia e poi ministro dell’Economia nel governo Draghi: ma è appunto l’esser draghiano che ora gioca a suo sfavore. Segue l’attuale direttore generale Luigi Federico Signorini, di idee liberali, a suo tempo inviso al M5S che gli mosse accuse infondate.
Circola anche il nome di Piero Cipollone, vicedirettore generale; ma se circola è più che altro come possibile successore di Panetta a Francoforte. Non è scontato che quel posto vada di nuovo all’Italia, dato che fra gli ormai 20 Paesi euro ce ne sono diversi che ambirebbero alla poltrona; ma è ben possibile. Cipollone già si occupa di euro digitale, importante delega di Panetta.
Nella scelta del governatore della Banca d’Italia ha un ruolo importante il presidente della Repubblica. Dodici anni fa fu infatti Giorgio Napolitano a prevalere indicando Visco, quando il governo Berlusconi, dilaniato, non riusciva a decidere. Allora, la Banca d’Italia era nelle mire dei politici soprattutto perché vigilava sulle banche. Questioni di potere bancario nel 2002 avevano guastato il rapporto tra il centro-destra (non tutto) e l’allora governatore Antonio Fazio che sulle prime ne era stato un entusiasta. Diviso pro o contro il centro-destra restò fino al dicembre 2005, finché travolto dagli scandali Fazio dovette dimettersi da governatore.
Dal 2014 le aziende di credito più grandi sono passate sotto la sorveglianza diretta della Bce. Ma ancora di potere bancario si trattava quando Matteo Renzi attaccò a fondo Ignazio Visco tentando di dargli la colpa per il dissesto di istituti più piccoli, come Popolare di Vicenza ed Etruria di Arezzo, che, come tali, erano rimasti sotto esclusiva competenza italiana. Ed era stato proprio Panetta, allora vicedirettore generale, a ricevere per ben due volte la sottosegretaria Maria Elena Boschi, preoccupata per le sorti della banca di cui era dirigente suo padre. Dalla successiva commissione parlamentare di inchiesta poi nulla emerse a carico della Banca d’Italia.
Nei ricordi di Panetta probabilmente è rimasto quello il periodo più difficile della sua carriera. Era stato lui a seguire per conto della Banca d’Italia, dal 2012 in poi, la modifica della legislazione europea sulle banche che poi nel 2015 divenne tanto controversa nel nostro Paese; e lui stesso in diverse occasioni poi la criticò.
Della Banca d’Italia tuttora i politici temono i giudizi, molto ascoltati all’estero, sulle politiche economiche dei governi; quelli appunto a cui nel breve idillio di Fazio con il governo Berlusconi era stata messa la sordina. Con Panetta l’interrogativo sarà se la tradizione di indipendenza sarà mantenuta anche nei confronti di un governo di cui era stato invitato a fare parte.
Da qui alla successione in via Nazionale, in novembre, all’interno della Bce continuerà la contesa su quanto ancora rialzare i tassi di interesse. Proprio ieri l’economista Lars Feld, consigliere del ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, ha mosso un attacco diretto all’irlandese Philip Lane, nel direttorio Bce primo delle «colombe». L’analisi di Lane, e di Panetta, si stacca molto dalla tradizione tedesca: indica ora come causa di inflazione anche i profitti delle imprese. Oltre ad agire sui tassi insomma occorre aumentare la concorrenza nei settori dove più il fenomeno di manifesta, ha appena detto Panetta al New York Times: e questo vale anche come pungolo al governo italiano.