Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  aprile 01 Sabato calendario

L’Italia non è l’unica in ritardo sul Pnrr

Questione di prospettiva. Vista con il grandangolo della mappa Ue, la proroga di un mese concessa dalla Commissione al Pnrr italiano per valutare il raggiungimento dei 55 obiettivi nel 2022 non è un caso isolato. E, soprattutto, non è un caso politico. Lo ha riconosciuto lo stesso Commissario all’Economia Paolo Gentiloni. È vero, l’esecutivo Ue ha "congelato" la terza rata del piano, 19 miliardi di euro, per concedersi nuove verifiche su obiettivi che hanno sollevato perplessità. E su capitoli del piano disegnati negli scorsi anni a Palazzo Chigi e risultati, col senno di poi, impossibili da realizzare entro il 2026. È anche vero però, ha ricordato Gentiloni, che «decisione analoga è stata presa per altri 7-8 Stati».
C’è chi, come la Romania, ha chiesto di "congelare" le verifiche per sette mesi attivando la procedura "stop the clocks" (fermare le lancette). Una tutela per gli Stati membri, non solo l’Italia, arrivati col fiato corto alla scadenza dell’ultima rata. L’alternativa è infatti incassare meno fondi di quelli promessi. È successo alla Lituania: scaduto il termine per la prima rata, aveva completato 32 obiettivi su 34 e si è vista tagliare i fondi di un quinto. E ancora: Lussemburgo, Austria, Danimarca, Spagna, Slovenia. Sono gli altri Stati membri Ue che proprio come l’Italia hanno inoltrato la richiesta di pagamento a fine 2022 e oggi, ben oltre la prima scadenza, attendono di ricevere i fondi, spiega un rapporto di Ngeu tracker. Insomma, se il piano di ripresa italiano rallenta, gli altri piani nazionali europei non accelerano. E sono proprio i dati della Commissione Ue a dirlo.
LA CLASSIFICA
Su 191 miliardi di euro chiesti tra prestiti e sovvenzioni, l’Italia ha già incassato 66.9 miliardi di euro: il 34,9%. Un tesoretto che la proietta al terzo posto nella classifica europea. Solo Spagna (44,7%) e Grecia (36,4%) hanno finora ottenuto una fetta più grande del loro Pnrr. L’austera Olanda di Mark Rutte, per dire, è al venticinquesimo posto con lo 0,6% dei fondi incassati.
Numeri da leggere in controluce, certo. L’Italia ha prenotato per sé la porzione più grande del Recovery plan europeo (26,5%) perché è stata uno dei pochi Paesi membri a chiedere per intero i fondi a prestito (122,6 miliardi di euro). «E questo è un debito che dovremo ripagare», ha ricordato di recente il vicepremier Matteo Salvini riecheggiando dubbi e mugugni diffusi nel governo nei confronti di chi negli scorsi anni ha negoziato per l’Italia il Pnrr. Eppure i dati forniti da Palazzo Berlaymont non mentono. Nella lunga marcia dei fondi europei fino al 2026 l’Italia è tra i Paesi membri Ue in testa. Solo un altro Stato, la Spagna, ha infatti già richiesto la terza rata dei pagamenti. La maggior parte degli Stati nel club europeo, inclusa la Francia, è infatti alle prese con il pagamento della prima rata del piano. Altri invece sono un passo indietro. C’è chi ha solo incassato il "pre-finanziamento". È il primo bonifico a partire dal conto corrente della Commissione Ue - all’Italia è valso 25 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni - e non può superare il 13% delle allocazioni totali. Lo attendono o lo hanno appena ricevuto quattro Paesi: Belgio, Germania, Estonia e Finlandia. In fondo alla classifica, gli Stati che vedono solo col binocolo l’erogazione dei fondi e sono fermi alla semplice "approvazione" del Piano da parte dei commissari.
IL CONFRONTO
Due nomi: Polonia e Ungheria. Entrambe ai ferri corti con la Commissione. Il governo di Andrzej Duda è sotto la lente per le riforme nella Giustizia, su cui da tempo si è aperto un contenzioso con Bruxelles (al punto da vagheggiare un anno fa, prima della guerra in Ucraina, lo scenario di una Polexit). Viktor Orban è invece nel mirino per alcune riforme della Pubblica amministrazione e in generale il rispetto dello stato di diritto. In altre parole, il cahiers de doleances del Recovery fund europeo è lungo ed è scritto a più mani. Il Pnrr italiano è, per così dire, in buona compagnia.