la Repubblica, 31 marzo 2023
Intervista a Robin Gosens
Dopo la qualificazione ai quarti di Champions con l’Inter, Robin Gosens ha festeggiato la laurea in Psicologia. «Ho fatto una tesi sulla resilienza, argomento a cui tengo, visti gli infortuni che ho dovuto superare. Ho confrontato le capacità di reagire alle difficoltà fra atleti professionisti e chi si allena per hobby».
Chi ha vinto?
«È finita in pareggio, segno che nel mondo del lavoro la pressione è simile a quella che dobbiamo sopportare noi. Manager e impiegati oggi sono selezionati anche in base alle capacità di rialzarsi nella vita».
Lei cosa vuoi fare dopo il calcio?
«Il mio sogno è aprire uno studio come psicologo, collaborando con le società sportive per aiutare chi soffre di problemi mentali, che oggi difficilmente vengono accettati e affrontati per tempo. Sto costruendo le basi: la scienza in università e l’esperienza in campo».
Qual è stato il momento più duro nella sua carriera di calciatore?
«Il secondo infortunio all’Atalanta, che mi ha colpito quando ero quasi pronto per tornare in campo. E la mancata convocazione in nazionale, che ne è stata conseguenza».
Il più bello?
«Fra i tanti, scelgo la vittoria all’Europeo 2021 contro il Portogallo.
Ho segnato un gol e dato due assist».
Angela Merkel, parlando con l’ex premier italiano Mario Draghi, l’ha citata come esempio d’impegno.
«Il video di quel discorso me lo hanno girato molti amici, una grande soddisfazione. La cancelliera è anche venuta con noi in ritiro prima dell’Europeo. Sono riuscito a farle una domanda».
Cosa le ha chiesto?
«Cosa si prova a vivere una vita senza privacy».
Cosa le ha risposto?
«Non lo dico, violerei la sua privacy».
Nel tempo libero lei si dedica al triathlon. Un poeta dell’antica Roma, Giovenale, diceva “mens sana in corpore sano”. Aveva ragione?
«Quando la testa non funziona, le gambe non vanno da nessuna parte».
A giudicare dalle foto, sembra che all’Atalanta lei avesse più massa muscolare. Ci si allena in modo diverso a Zingonia e alla Pinetina?
«A Zingonia c’è più attenzione alla preparazione individuale e al lavoro in palestra. Inzaghi cura di più il lavoro collettivo e la compattezza di squadra. Ma le performance dei giocatori sono simili».
Dove può arrivare questa Inter?
«Abbiamo la qualità per vincere tantissimi trofei, ma ci manca continuità nei risultati. Lo sappiamo noi per primi, ne parliamo, ci incazziamo. Ci aspetta il mese più importante, in aprile ci giochiamo una stagione in nove partite.
Dobbiamo provare a vincerle tutte».
Battendo il Benfica, in semifinale di Champions potreste incontrare Milan o Napoli. Chi preferisce?
«Mi piacerebbe il derby. Ho avuto la fortuna di giocarne tre, è un’emozione incredibile, forse unica al mondo. È il massimo che ungiocatore possa vivere. Pressione, tifo, tensione. Pensa a tutto questo in una semifinale di Champions: ciao».
Avete battuto Barcellona e Porto, ma in campionato avete perso contro squadre meno forti di voi. Da calciatore come se lo spiega?
«Ci sono più fattori. Piccole cose che insieme fanno la differenza: attenzione, movimenti, approccio».
E da psicologo?
«Dopo le grandi vittorie non riusciamo a fare il necessario reset mentale. Probabilmente, a livello inconscio, siamo portati a pensare: se ho vinto col Barcellona, non posso perdere con lo Spezia. Ma è un grande errore. In Serie A non ci sono partite facili. Dobbiamo imparare a fare tabula rasa dopo ogni match».
All’Inter c’è una psicologa.
«È disposizione di tutti, è preziosa. Io ci vado ogni settimana e lo consiglio ai giovani. Ci aiuta a staccare coi pensieri dal calcio, è importante per dare il massimo. Nel mio periodo di carriera migliore ho scritto un libro motivazionale, ora ne sto scrivendo un altro per bambini».
Milan, Inter e le squadre romane hanno perso molti punti. Il super Napoli vi ha tolto motivazioni?
«No, restano da giocarsi i posti Champions. E vincere in campionato aiuta a vincere negli altri tornei. Un effetto potrebbe averlo avuto la pausa per il Mondiale. Di solito a un grande evento estivo seguono tre settimane di vacanza, questa volta ce n’è stata una sola. Non c’è stato iltempo per liberare la mente».
Lei è attivo su LinkedIn, come mai?
«Mi consente di raccontare chi sono, al di là della foto o della clip video».
Su Instagram non mette immagini di cose costose, e di suo figlio non si vede mai il volto.
«È troppo piccolo per autorizzarmi a usare le sue immagini. È una persona, va rispettata. Ognuno coi social fa quello che vuole, non giudico, ma io sento una responsabilità. Mi seguono in mezzo milione, fra cui molti ragazzini. Non voglio offrire loro l’immagine di un mondo di yacht, jet privati e hotel di lusso. Sono un ragazzo di Emmerich sul Reno, un paese. Non cambio».
Con la storia della piscina non ha
un po’ esagerato?
«Avevo pubblicato una storia su Instagram in cui ero in piscina con amici. Poi ho letto articoli sulla siccità in Europa e ho pensato che fosse poco rispettosa per gli agricoltori, così ho pensato di cancellarla. È una sensibilità che mi è venuta anche lavorando con la mia fondazione».
Di cosa si occupa?
«Aiuto i bambini migranti che arrivano in Germania a sognare, dopo esperienze dure e viaggi difficili. Organizziamo attività, incontri, sport. Insegniamo loro a nuotare».
Con suo figlio in cosa è diverso da come suo padre è stato con lei?
«Nulla, papà è il mio punto di riferimento. Penso di essere un uomo abbastanza piacevole ed empatico, quindi ha avuto ragione lui».
Chi è il suo idolo come calciatore?
«David Alaba. Ha giocato in tutti i ruoli, dal difensore al numero 10, con qualità assurda. Abbiamo parlato, mi ha promesso la sua maglia».
Dove immagina il suo futuro?
«C’è solo l’Inter. So che nessuno mi ha mai regalato nulla in carriera, ma il trasferimento alla Pinetina l’ho vissuto come un dono. È una delle squadre più grandi al mondo, voglio dimostrare di meritarla».
Finora non è stato così?
«Sono onesto, so che per troppo tempo non sono stato il giocatore che l’Inter pensava di avere comprato. Ne ho parlato anche con Marotta e Ausilio. Avevo sottovalutato quanto gli infortuni potessero influire sul mio gioco, molto fisico. Se sei sempre un secondo in ritardo rispetto all’avversario, c’è poco da fare. Ora sto bene, posso fare vedere chi è il vero Robin».
Lei è il giocatore che più spesso in questa stagione di Serie A è entrato dalla panchina. A uscire è quasi sempre stato Dimarco. Riuscite lo stesso a essere amici?
«Abbiamo un rapporto bello e importante. Dal mio arrivo a Milano
Dimash mi ha aiutato. Essendo cresciuto nel club, mi ha insegnato ad amarlo. Il fatto che lui stia giocando benissimo per me è uno stimolo. E penso sia stimolante per lui vedere che sto arrivando. Ma anche se non fossimo amici andrebbe bene: la concorrenza fa bene a noi e all’Inter».
Cosa deve fare per riprendersi il posto nella nazionale tedesca?
«Diventare titolare all’Inter. La nazionale è una conseguenza».
Lei ha la doppia cittadinanza, avrebbe potuto scegliere anche l’OIanda. Ci ha mai pensato?
«Sì, lì è nato mio padre, ci ho vissuto.
Ma ho deciso di aspettare la chiamata della Germania. Mi sento tedesco.
Sono tedesco».
Quando dici terzino sinistro tedesco, all’Inter pensi ad Andreas Brehme. Lo conosce?
«Mi ha chiamato quando ho firmato. Era contento per me, mi ha augurato di continuare la storia vincente dei tedeschi in nerazzurro. Gli ho assicurato che sono qui per questo».