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 2023  marzo 31 Venerdì calendario

Le lettere tra Alessandra Wolff von Stomersee e Giuseppe Tomasi di Lampedusa

La protagonista nascosta del Gattopardo è «una sorta di regina boreale che ha per reggia un castello tedesco in terra di Lettonia», secondo il ritratto schizzato da Giorgio Manganelli. La moglie del siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del romanzo italiano più diffuso e tradotto al mondo, era la baronessa, Alessandra Wolff von Stomersee, presidentessa della Società psicoanalitica italiana tra il 1955 e il 1959, la donna che ha introdotto Freud in Italia, famosa anche per aver condotto il più importante studio del dopoguerra su un caso di licantropia. Una figura quasi nascosta, sovrastata dalla fama postuma del coniuge, ma che oggi viene in pieno rivelata dal ritorno per Sellerio diUn matrimonio epistolare di Caterina Cardona, volume dedicato al carteggio tra il più noto scrittore e la pioniera della psicoanalisi italiana, instancabile organizzatrice di convegni e incontri, all’epoca aperti ai soli adepti, ma che oggi assumono un ben più importante valore. Come per esempio, nel 1946, il primo congresso nazionale di studiosi del ramo, a fianco di Nicola Perrotti, Cesare Musatti e Emilio Servadio.
Duecento lettere, studiate dall’autrice di Un matrimonio epistolare, già al timone delle Scuderie del Quirinale, dell’Istituto italiano di cultura a Londra e membro del cda del romano Maxxi. Questa storia, rivela la stessa Cardona, ha avuto una shakespeariana scena madre: una telefonata del 1959 di Maria Bellonci a suo padre, poi così riferita: «Quest’anno lo Strega non può che andare alGattopardo. Pare sia una vera rivelazione, un libro bellissimo di un autore molto sfortunato, morto, purtroppo, due anni fa, poco più che sessantenne». Da qui la successiva immersione nel vasto epistolario, «fra mille remore, un senso forte di riserbo e infiniti imbarazzi». Ma anche con la crescente convinzione che quel “dialogo al rallentatore” poteva rivelare non solo inediti dettagli su Tomasi, ma anche la presenza di una prorompente figura femminile.
“Licy” scriveva sempre a matita, Tomasi con l’amata stilo Parker ( «ma bien aimèe», come la chiamava). E, particolare non trascurabile, dialogano in francese. Avrebbero potuto farlo in inglese, tedesco, russo, italiano. Scelgono invece «il segno tutto speciale dell’atmosfera che c’è tra di loro, quasi una metafora insistita». Lo fanno per vent’anni, Giuseppe incollato alla routine palermitana, lei – baltica di origine – prigioniera nel castello ereditato dal padre, «insofferente della calura siciliana (e non solo della calura)». Di cosa parlano? Non di letteratura, neppure di psicoanalisi, quasi mai di sentimenti. Bensì di ricette siciliane, degli amatissimi cani, della guerra. Lui le racconta la sua quotidianità, che varia per sottrazione («ad ogni perdita di una persona cara, la giornata subisce un ulteriore rattrappimento»): la passeggiata al Politeama e in via Libertà con la madre Beatrice Tasca, il cremolato di fragole, il Circolo Bellini di via Ruggero Settimo, la biblioteca, infine il caffè notturno. Sottolinea Cardona: «Negli anni Trenta a Palermo sivanno definitivamente spegnendo gli ultimi echi delle mondanità fiorite all’inizio del secolo attorno ai Whitacker, Ingham, Woodhouse (le leggendarie dinastie trapiantate in Sicilia), alla “divina” Franca Florio e a tutti i grandi borghesi che avevano ridato sangue e splendore alla tradizione delle casate nobiliari annidate ancora negli splendidi palazzi Trabia, Mazarino, Scalea, Ganci, Villafranca, Sant’Elia, Mirto, Niscemi, Cutò, Belmonte e così via», dove ormai «spenti i lampadari sontuosi, si riceve preferibilmente la sera, perché non risaltino troppo le tappezzerie consunte».
Lei è più avventurosa: le sedute di analisi con la domestica con istinti omicidi, le visite frequenti e quasi terapeutiche – con tanto di pistola esibita – di un intimo amico di Feliks E. Dzerzinskij, che dopo la Rivoluzione del 1917 aveva fondato la polizia segreta sovietica. «Trova ammirevole di votare milioni di persone alla morte per arrivare a cambiare la psicologia del popolo» scrive al marito. Poi tutto precipita: la Lettonia, occupata nel ’39 dall’Armata Rossa, nel ’41 dai nazisti, torna nel ’44 ai sovietici. Il castello è sequestrato. “Licy” ripara a Roma. Il 5 aprile del ’43 viene distrutto daibombardamenti su Palermo anche Palazzo Lampedusa. Sono i giorni dell’orrore: «Un pomeriggio ben riuscito per il signor Satana… si ha voglia di sputare sul proprio passaporto di uomo» scrive il marito. Alla fine, ricongiunti, andranno ad abitare nella palermitana via Butera. Intanto, “Licy” rilancerà la Società Psicoanalitica, mentre Lucio Piccolo, uno dei tre cugini di Giuseppe, viene insignito “poeta” da Montale. «Avevo la certezza matematica di non essere più fesso di loro» scriverà Tomasi. Un fiume carsico riemerge: riletti Balzac, Proust, Stendhal (che diventeranno le suefamose “lezioni” letterarie) arriva – quasi per sfida – Il Gattopardo. L’influenza di “Licy”, negli ultimi anni, lascia tracce in una lettura “tutta psicoanalitica” dei suoi luoghi dell’infanzia (la “fatata” Villa Giulia) e dello stesso rapporto con i Piccolo: la condivisione di certa “mostruosità” (si chiamavano “mostro” vicendevolmente), i dialoghi su spiritismo e metafisica, l’attrazione per la “villa dei mostri” di Bagheria. Fino all’amore per i cani, che nelGattopardo si incarna nel personaggio canino Bendicò, il più citato nel romanzo.