Corriere della Sera, 31 marzo 2023
Passioni e destino di Pablo Picasso
Picasso (Malaga, 25 ottobre 1881) aveva sette nomi poiché era credenza popolare che questo numero proteggesse il neonato. Fu battezzato come Pablo, Diego, José, Francisco de Paula, Juan Nepomuceno, María de los Remedios, Crispiniano y de la Santísima Trinidad. Pablo era il nome dello zio sacerdote morto due anni prima, gli altri erano i nomi dei nonni o dei santi patroni. Quanto al cognome, Picasso era quello della madre, di origine ligure: il suo era Ruiz.
Era figlio del pittore José Ruiz y Blasco, insegnante alle accademie d’arte a Malaga, La Coruña e Barcellona, era quindi un figlio d’arte e ricevette una formazione classica. Il suo primo dipinto, El picador amarillo, fu realizzato a 9 anni e mostra una perfetta padronanza della composizione. Picasso era un amante dell’Andalusia e delle sue tradizioni, tra le quali la corrida. Durante il suo esilio, nel periodo franchista, il torero Luis Miguel Dominguín (padre del cantante Miguel Bosé) gli regalò una capa (un mantello). Non potendogliela consegnare, gliela fece recapitare dai giocatori del Real Madrid al termine di una partita. A 13 anni espose in una mostra nello stabilimento in calle Real a La Coruña: la Fondazione Picasso conserva le critiche entusiastiche sui giornali dell’epoca.
Il prima e il dopo di Picasso fu il 1901, quando il suo amico, il pittore Carlos Casagemas, si sparò un colpo di pistola al Café parigino de l’Hippodrome in boulevard de Clichy poiché respinto dalla modella e ballerina Laure Gargallo. Picasso precipitò in una incontenibile elaborazione del lutto, ossessionato dalla figura dell’amico. Fu l’inizio del cosiddetto periodo blu, con opere scure, temi cupi, tragedie, povertà, ovvero l’inizio del suo braccio di ferro con la vita. Seguirà il periodo rosa quando si stabilì, con cronica indigenza, a Parigi dal 1904. Nel 1907 il passaggio al Cubismo con Les demoiselles d’Avignon. Fu il primo quadro cubista appartenente al cosiddetto periodo africano. Picasso realizzò un centinaio di studi preparatori e schizzi per questo lavoro che si doveva chiamare Le bordel philosophique, un bordello che lui ben conosceva: comunque sono numerose le interpretazioni.
Nel settembre 1936 il governo lo nominò direttore del Prado, ma non si insediò mai e il suo licenziamento non è mai stato pubblicato ufficialmente. Lì, comunque, trovò i dipinti che idolatrava. Uno dei lavori più importanti per capire Picasso fu proprio il faccia a faccia con il totem di tutta la pittura spagnola: Las Meninas di Diego Velázquez, il quadro dei quadri, la metapittura. Picasso va alla corte del più grande pittore spagnolo e lo affronta. Realizza un ciclo di 58 dipinti, conservati al Museo Picasso di Barcellona, in ciascuno dei quali decostruisce la tela di Velázquez. Qui il procedimento di riduzione di ogni aspetto realistico della famiglia regnante alla forma astratta del cubo o dei solidi semplici è estremamente semplificato e chiaro. La scomposizione dell’Infanta di Spagna diventa un gioco sensibile di forme. Giulio Carlo Argan sosteneva che Picasso avesse rivoluzionato l’intera concezione del disegno, pensato non più come riproduzione del reale ma come strumento «che disintegra l’oggetto e restituisce la forma nuda della coscienza». Forse, la forma primaria, più che della coscienza. Alcuni critici hanno individuato in un altro grande spagnolo del Seicento, Francisco de Zurbarán, un antecedente di Picasso per il suo conferire dignità artistica a soggetti umili, per il genere bodegón (scene di taverna, cucina, mercato) che ha affascinato il pittore di Malaga.
Del suo rapporto da maschio alfa-alfa in canotta a righe con le donne si sono scritti interi volumi (speriamo che questo non comporti, tra poco, la rimozione dei suoi quadri dai musei): una delle sue relazioni più burrascose fu quella con la fotografa Dora Maar. Il catalogo non è breve, inutile l’elenco. Certo, pur brutto, straziò il cuore e le vite di molte: Olga morì sfrattata, Marie Thérèse si impiccò, Jacqueline si suicidò con una pistola alla testa e Dora non riuscì a superare la depressione. Parve una insaziabile vendetta da Minotauro-Picasso per quello che aveva subito il suo amico Carlos (sebbene finì a letto pure con la Gargallo, ovviamente). Non a caso disegnò la copertina del primo numero di «Minotaure», la rivista stampata dall’editore svizzero-francese Albert Skira dal 1933.
Fuggito dalla Spagna nel 1936, sostenne la Repubblica spagnola e nel 1937 espose a Parigi Guernica, un gesto brutale diventato icona realizzato alla notizia dello sterminio della popolazione della città rasa al suolo dal bombardamento nazista. Fu in Francia durante la Seconda guerra mondiale, partecipò alla Resistenza francese e nel dopoguerra fu fervente comunista: ricevette anche il Premio Stalin per la Pace nel 1950, sebbene questo premio oggi appaia un ossimoro. Visitò molte città in Italia quali Milano, Roma, Firenze e Napoli.
Picasso è stato uno dei pittori più prolifici di tutti i tempi. Si stima che abbia realizzato più di tredicimila dipinti, 100 mila stampe, 34 mila illustrazioni, 300 sculture e pezzi in ceramica. È stato anche poeta e drammaturgo: si conservano 300 poesie e due opere teatrali (El deseo cogido por el rabo e Las cuatro niñas). Nel 2015, il suo Les femmes d’Alger (versione «O», la meglio riuscita) fu battuto da Christie’s, a New York, per 179 milioni di dollari: era uno dei maggiori prezzi del mondo prima di essere più che doppiato dal Salvator Mundi attribuito a Leonardo. In fondo è l’ultimo quadro (ce ne sono varie versioni, più o meno cubiste) di pittura orientalista fuori tempo massimo (1954-55) ispirato a Delacroix quando eravamo ormai in fase di decolonizzazione.
La festa per i suoi ottant’anni, nel 1961, fu raccontata da María Teresa León in Memoria de la melancolia: forse la ribellione alla malinconia fu la sua forma di vita. Morì a Mougins, in Provenza, l’8 aprile del 1973, alla veneranda età di 91 anni: vari gli eredi e complessa la divisione dell’eredità. Per lui possiamo realmente dire che l’arte sia stata il proseguimento della vita con altri mezzi.