Corriere della Sera, 31 marzo 2023
Trenta giorni per rimodulare il Pnrr
La Commissione europea è disposta ad accettare modifiche al Pnrr presentate dall’Italia: «Anche altri Paesi lo stanno facendo», dicono a Bruxelles. La Commissione però vuole queste modifiche entro la fine di aprile, e le vorrebbe una volta per tutte. In sostanza il governo ha 30 giorni di tempo per fare un check up e decidere quali progetti vanno modificati o addirittura espulsi dal Piano di ripresa e resilienza. A differenza di altri Stati europei, che hanno chiesto e stanno elaborando cambiamenti minimi, a Palazzo Chigi stanno valutando di fare cambiamenti di media grandezza.
Il negoziato in corso fra Commissione e governo riguarda dunque non solo alcuni punti, in fondo secondari, come lo stadio di Firenze, che sono oggetto di valutazione, ma interi pezzi del Piano. Il fatto che la terza rata da 19 miliardi di euro sia in qualche modo sotto giudizio significa poco, non è questa la vera partita: basti pensare che solo la Spagna, oltre al nostro Paese, ha già chiesto la terza del suo Piano fra tutti gli Stati europei (ed ha già passato la valutazione), mentre tutti gli altri Stati (anche se hanno fondi di gran lunga inferiori all’Italia) non hanno ancora fatto richiesta. Molte capitali sono ferme alla prima rata.
La vera posta in gioco è la rimodulazione del Piano. Una rimodulazione dovuta al lievitare dei costi delle materie prime e alla consapevolezza che alcuni capitoli di spesa possono entrare in una fase critica e non essere attuati entro la scadenza, prevista a giugno del 2026. «Cioè domani», come riassume Matteo Salvini, almeno per un Paese come il nostro che ha un sistema amministrativo che non è mai stato in grado di spendere i fondi europei, se non per una quota spesso minoritaria.
L’obiettivo del governo è dunque modificare il Piano, magari spostando alcuni progetti sui Fondi di coesione, che possono coprire appalti e programmi da mettere a terra entro il 2029. La Commissione è disponibile, lo ha già detto nelle interlocuzioni di queste settimane. Si creerebbero a questo punto dei «buchi» nel Pnrr. Per non perdere risorse finanziarie che per l’Italia sono molto preziose c’è dunque da decidere, e in fretta – come ha sollecitato il capo dello Stato – come e dove fare questi cambiamenti.
La delicatezza del compito deriva in primo luogo dalle misure di grandezza: l’Italia è un paradosso, ha il record dei fondi da spendere nei prossimi tre anni, ma anche la minore capacità, storica, di farlo. Ma ci sono altri fattori critici che incidono sulla corsa contro il tempo del governo: non tutto sta andando come era previsto. Basti pensare che il decreto approvato dal governo Draghi nel 2021 per ampliare gli uffici tecnici dei Comuni è arrivato in Gazzetta Ufficiale, e dunque è entrato in vigore, solo il mese scorso. Quel decreto stanzia 30 milioni di euro per potenziare le capacità degli enti locali, in termini di risorse umane, di fare ed eseguire progetti del Pnrr. La previsione era quella di 15 mila assunzioni: a fine dicembre del 2022 ne sono state fatte appena 2.500, secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato, meno di un quinto del previsto. Anche perché molti non vogliono contratti a tempo determinato.
Bastano questi esempi per riportare il dibattito su un terreno concreto, meno politicizzato. Semplicemente sta accadendo, nonostante gli sforzi coordinati da Palazzo Chigi negli ultimi due anni, quello che tutti temevano e che hanno cercato di evitare. In alcune amministrazioni pubbliche, pur coinvolte nel Pnrr, i dipendenti sono addirittura scesi di numero, invece di aumentare. E stiamo parlando di una fetta corposa del Piano: i 40 miliardi di euro che il Piano europeo destina agli enti territoriali passano per ben 6 mila «soggetti attuatori», i Comuni impegnati sono 5.700. Quando Raffaele Fitto dice che non ha la bacchetta magica descrive anche l’enorme difficoltà di fare andare tutte le caselle a posto.
C’è poi almeno un altro punto: la complessità del Piano e delle opere che lo compongono. Le controllate di Fs, in primo luogo Rfi (nelle prossime nomine potrebbe cambiare l’ad, cosa che in Fs però tutti cercano di scongiurare, anche per il Pnrr), devono gestire appalti per quasi 30 miliardi: dalla Napoli-Bari alla Palermo-Catania, da alcuni lotti della Salerno Reggio Calabria sino alla Roma-Pescara. Opere strategiche, che non sono in ritardo, ma lo stesso sono piene di incognite, come ogni opera pubblica di grandi dimensioni. In Italia basta poco e tutto si blocca.