Corriere della Sera, 31 marzo 2023
Biografia di Evan Gershkovich
Il portavoce di Putin dice che l’hanno colto con le mani nel sacco. Ma di cosa è accusato davvero Evan Gershkovich arrestato per spionaggio in un ristorante di Ekaterinburg sui monti Urali? Di andare a caccia di dati sull’attività delle imprese belliche russe, «per conto del governo Usa», dati che il Cremlino considera segreti di Stato.
In genere le spie che usano il giornalismo come copertura non sono professionisti di grande visibilità, né scrivono per le principali testate mondiali. Usano l’accredito stampa come un lasciapassare, ma per il resto evitano la luce dei riflettori. Evan, figlio di emigrati dalla Russia sovietica che tuttora vivono negli Stati Uniti, ha una storia tutta diversa: nato nel 1992, diplomato nel liceo di Princeton nel 2010 e laureato in filosofia e letteratura al Bowdoin College meno di nove anni fa, ha bruciato le tappe. Una carriera fulminea saltando da una testata all’altra: al New York Times nel 2016, coprendo la crisi siriana e quella dell’Ucraina, le conseguenze dell’invasione della Crimea. Dal 2017 di base in Russia, lavorando per il Moscow Times, poi per l’agenzia France Presse, e collaborando con l’Economist, le riviste Foreign Policy e MIT Technology Review e con varie reti televisive e radiofoniche, dalla Bbc alla Deutsche Welle, a France 24, alla National Public Radio americana: non esattamente il profilo di una spia che agisce nell’ombra. Infine il passaggio al Journal. Finora il Cremlino non aveva cercato di incriminare giornalisti stranieri, ma con la guerra in Ucraina tutto è cambiato: molti russi sono stati già condannati come spie per aver denunciato l’inefficienza e la corruzione dell’apparato militare.
Il giro di vite dell’intolleranza alle critiche è arrivato anche alla stampa estera e, infatti, molti giornali e molte reti televisive (anche italiane) hanno ritirato, momentaneamente o definitivamente, i loro corrispondenti e chiuso gli uffici di Mosca. Non Evan: coraggioso, capace di raggiungere molte fonti grazie alla perfetta conoscenza della lingua russa, meticoloso, ha continuato a descrivere la cupa atmosfera di un Cremlino nel quale un Putin sempre più isolato e diffidente ha creato una struttura di potere incapace di fare calcoli realistici sulle possibilità di successo di un’invasione. Ma, più che le critiche a Putin, Evan paga le interviste ai soldati russi che hanno raccontato disastrose sconfitte e le sue coraggiose cronache dalla Bielorussia dove ha seguito l’andirivieni delle ambulanze piene di reclute morte o ferite, una testimonianza delle enormi perdite accusate dall’esercito di Mosca. E poi i viaggi nelle città russe di confine dove ha analizzato l’impatto sulla popolazione dei bombardamenti di propaganda in quelle che stavano per diventare zona di guerra. Nell’ultimo articolo Evan ha spiegato il deperimento dell’economia russa per effetto delle sanzioni.
Sugli Urali, si stava occupando di problemi industriali e del reclutamento della Wagner: per evitare che padri e madri dei ragazzi mandati a morire scendano in piazza a Mosca o a San Pietroburgo, il reclutamento viene fatto nella periferia russa. Il regime ha detto basta: facile accusare un giornalista di cercare informazioni rilevanti a fini militari, visto che tutta l’industria russa ha a che fare con l’energia (comunque strategica) o la difesa. Per saperne di più bisognerà attendere la prima udienza, non prima di fine maggio: forse il caso verrà risolto prima con un classico scambio di prigionieri.