Avvenire, 31 marzo 2023
Do you remember Pearl S. Buck?
Pearl S. Buck (1892-1973) ebbe il Nobel per la letteratura nel 1938, uno dei Nobel più discussi, dovuto anzitutto al grande successo di La buona terra (1931), già coronato dal Pultizer, che fu un successo inatteso e significativo.
Figlia di missionari in Cina, la Buck conosceva benissimo quella società e la raccontò nei suoi romanzi con una competenza allora assai rara e con una padronanza dei meccanismi della narrazione ottocentesca e di quella gradita dal grande pubblico – un po’ a cavallo tra le Willa Cather, grande e vera scrittrice, e le Edna Ferber, facitrice di best-seller grandiosi. La buona terra rivaleggiò per un certo tempo con Via col vento di Margaret Mitchell, e in qualcosa di superficiale gli somigliò, come saga famigliare e per il ruolo che vi era dato proprio alla terra, che, diceva Rossella O’Hara nel librone della Mitchell, non tradisce mai. La buona terra raccontava di una famiglia di contadini cinesi che lasciava la campagna per la città e nella città si perdeva, si sfasciava; salvo rientrare finalmente alla base, e ritrovare, nella e con la terra, un’armonia, una serenità... La Metro Goldwyn Mayer ne trasse un filmone dove attori occidentali erano truccati da cinesi, e i protagonisti erano un già celebre e stimato (e un po’ gigione) Paul Muni e una giovane donna venuta dal teatro tedesco, Louise Rainer, premiata con l’Oscar per questo film e l’anno dopo, caso raro, per un altro film della Mgm, non più in un ruolo esotico. Poi la Rainer si ritirò dalle scene, ma quando molti anni dopo volle ripresentarsi e Fellini la chiamò per un ruolo importante in La dolce vita, risultò al nostro regista così insopportabilmente artefatta e filosofante che egli la pagò come da contratto e la rispedì velocemente in America... In un film ancora tratto dalla Buck, Stirpe di drago, stavolta sul conflitto sinogiapponese, la protagonista fu addirittura Katharine Hepburn, con gli occhi doverosamente tirati a mandorla... Era un film di guerra dalla parte della Cina, alleata degli Usa contro l’invasore giapponese, un film strambo come tanti film di propaganda d’ambiente esotico... La Buck fu una scrittrice abile e a suo modo molto sincera, ma interna a quel meccanismo di produzione di best-seller che lasciava poco spazio all’arte e ne dava troppo alla comunicazione e al ricatto sentimentale, bensì a suo modo educando il lettore, dandogli conoscenze che non aveva, permettendogli di capire un mondo del tutto diverso dal suo e di guardarlo con simpatia, con solidarietà. Per esempio, nella persuasione che alla fine i contadini sono, come sosteneva il nostro Silone, simili dovunque, a causa del loro legame con “la buona terra”. Sì, certo, il Nobel non l’hanno avuto scrittrici della forza di Virginia Woolf, di Anna Achmatova, di Ivy Compton-Burnett, e scrittori della forza di Tolstoj, di Joyce, di Proust... Ma guai a dare troppa importanza ai saccenti professorini di Stoccolma...