il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2023
ritratto di Renée Vivien
Una figura diafana ed estatica si aggirava sui boulevard della Ville Lumière, nei suoi anni favolosi. “Sorrideva spesso, la sua voce era melodiosa”. Passava inosservata, ma dentro le scorrevano oceani di pensieri sublimi. Non aveva paura di sfidare la morale dominante. “Scrissi per voi, belle giovani donne! E voi sole – che ho amato – rileggerete i miei versi”.
Odoya pubblica Renée Vivien. La Saffo della Belle Époque, col corredo di splendide immagini d’antan. Ne è autrice Teresa Campi, già sua traduttrice e “importatrice” italiana. Il nome di Vivien (1877-1909), dalle nostre parti, è ancora misconosciuto e non certo perché all’anagrafe era registrata come Pauline Tarn. E dire che in quell’epoca sfavillante, tra i café chantant e una Torre Eiffel appena elevata alle stelle, questa poetessa introversa e scandalosa compose versi proiettati nel futuro della letteratura (che oggi chiameremmo “di genere”). Quasi nessuno li aveva apprezzati in presa diretta, e il suo oblio è perdurato: quando Campi vi si è imbattuta per caso, nel 1980, nella parigina Libreria delle Donne, “l’ultima ristampa delle sue poesie in due volumi risaliva al 1934. Scarse le notizie biografiche. Eppure aveva scritto dodici raccolte di versi, due romanzi, quattro opere postume”. Il tutto finanziato di tasca propria.
Ispirandosi all’archetipo greco di Saffo, di ventisei secoli prima, Renée se ne andò in pellegrinaggio all’agnizione dei luoghi dove era vissuta “la sorella delle sorelle”. Fuggita dalla natia Inghilterra e da una madre che non le volle mai bene per la Parigi dei suoi sogni, provò a inseguire le sue due grandi Muse: l’arte di Dante e Petrarca e dell’adorato John Keats e le donne. Ma non le sarebbe bastato, corrosa da troppi demoni interiori. Morì suicida nel 1909, a 32 primavere. Una giovane vita immolata sull’altare della ricerca spasmodica e disperata di un amore puro, complice. Il miraggio del riconoscimento delle relazioni saffiche: una richiesta non recepibile a inizio 900, nonostante le apparenze di una società emancipata e libera.
L’esistenza di Renée-Pauline fu sostanzialmente infelice, tra anoressia, abusi d’alcol e oppio e un’infausta e divorante love story con la ricca e anticonformistica ereditiera statunitense Natalie Barney. Una mangia-donne. “Ti ho tanto amato, e se osassi, ti amerei ancora! Ma l’impossibile è fra noi”.
Nel suo decennio creativo, col suo stile decadente e post-parnassiano, Vivien puntò sulla capacità inventiva delle donne. “Esse avrebbero dovuto ricostruire la simbologia del reale, peculiare alla loro natura. Il motivo? Erano state troppo ingannate a celebrare l’uomo e ad assumere passivamente il suo linguaggio, bruciando la soggettività dell’immaginario femminile”.
L’autrice ci trasporta in quel periodo straordinario: sembra di essere spettatori in prima fila di quel demi-monde di serate salottiere, pettegolezzi piccanti e cocktail “al vetriolo”. Lei – “figlia di Baudelaire” e “Musa delle violette” – vi partecipava stando in disparte: trascorreva le sue ore a scrivere, e ad anelare chimere sentimentali. Passioni ardentemente cerebrali, alle prese con un misticismo ideale insostenibile in quella schiumante e un po’ meschina modernità.
Il saggio biografico è anche un carosello di amanti, amiche, amiche e amanti di amiche e amanti e compagni di viaggio dal sommo blasone coevo o postumo: Oscar Wilde, Colette, la baronessa Hélène de Zuylen de Nyevelt (Rotschild), la divina Sarah Bernhardt, la danzatrice senza veli Isadora Duncan, cortigiane e femme fatale come la Bella Otero (stella delle Folies Bergère) e Liane de Pougy, “la Grande Orizzontale”, escort più ricercata di Francia. Intellettuali e dame spregiudicate, aristocratici e ambasciatori, commediografi e aspiranti attrici. Vivien viaggiò senza posa: l’Europa, la Turchia, la Cina, il Giappone, le isole Hawaii. Si teneva in piedi piluccando una mela e un cucchiaio di riso, con un bicchiere di champagne. “In pubblico si presentava frivola, generosa, dispensatrice di sorrisi e carinerie di ogni sorta, mentre dentro aveva l’inferno”. Visse in dimore sfarzose e tra mille lussi, sentendosi una straniera. “Nulla ho calcolato, sono nata ubriaca e folle/ Ho seminato al caso anima e parole/ Ho dato i miei baci, i miei fiori e le mie catene/ non sapendo che di tutto mi stavo spogliando”.