il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2023
Intervista a Enrico Pompili
L’uscita di una nuova edizione del Dsm è sempre un evento, anche fuori dall’ambito specialistico, perché il modo in cui cambia il principale manuale diagnostico di psichiatria racconta anche l’evoluzione della società. La quinta edizione “rivista” (Dsm-5-Tr), appena pubblicata in Italia da Raffaello Cortina, risente delle pressioni del politicamente corretto e ha recepito valutazioni di tipo culturale ed etnico tanto che un collaboratore su dieci è di area extra-clinica: sociologo, antropologo e dintorni. Ne parliamo con lo psichiatra Enrico Pompili che ha curato il libro insieme al collega Giuseppe Nicolò.
Dottore, quali sono le principali novità del Dsm-5-Tr?
Gli ambiti di intervento sono tre: culturale; etnico; di sesso e genere. Qui stanno le novità perché il contesto influenzia sia la diagnosi sia la cura.
Il politicamente corretto ha influenzato anche voi…
Ad esempio, “latinos” è discriminatorio perché maschile. Così è stato introdotto il termine “latinix” per non offendere gli ispanici, ma alcuni già lo criticano perché “poco ispanico” a causa del suono consonantico. Ci sono Stati americani che non accettano “latinix”, altri che lo usano, democratici contro repubblicani e così via. Il Dsm ha dovuto recepire la discussione.
Cosa è successo con l’identità di genere?
Nel Dsm-5-Tr il sesso si riferisce al corredo genetico, maschile o femminile. Quando si parla invece di uomo o donna, ragazzo o ragazza, bambino o bambina, ci si riferisce al genere esperito, a come il soggetto si percepisce.
Come si traducono i cambiamenti diagnostici rispetto ai fattori culturali?
Un vero cambiamento, per esempio, riguarda il lutto prolungato, ora inserito tra i disturbi dopo un ampio dibattito. Poi certo si possono fare considerazioni anche sul modo occidentale di vedere la morte.
Si dice che la morte sia diventata un tabù…
Sì, anche Houellebecq ne parla in Annientare. Bisogna aggiungere, nel conto della rimozione, l’aumento dell’aspettativa di vita e la fiducia nei confronti della medicina.
Cambiando disturbo, le “perversioni”: il Dsm sembra tralasciare ogni idea di normalità.
Su questo non ci sono grossi cambiamenti. Le “parafilie” sono quelle che hanno un impatto sociale – sadismo, pedofilia, frotteurismo, voyeurismo – o arrecano disturbo al soggetto stesso. Il concetto di normalità non viene descritto: soprattutto nelle scienze sessuali non si farà mai, mentre il Dsm privilegia un approccio statistico. Questo è il suo limite e insieme la sua forza: ha creato un linguaggio comune nella psichiatria, unica branca della medicina in cui una malattia può essere descritta in modo diverso a seconda della teoria su cui ci si basa.
Lei è direttore del dipartimento di salute mentale dell’Asl Roma-5. Come vede l’evoluzione dei disturbi psichiatrici negli ultimi anni?
Ci sono stati diversi cambiamenti: il fatto stesso che il Dsm venga aggiornato lo dimostra. Ma se lei chiede a qualsiasi psichiatra quale problema ha avuto maggiore impatto sulla salute mentale, si sentirà rispondere: “L’utilizzo precoce delle sostanze”. Le nuove generazioni accedono in età molto giovane a ogni tipo di stupefacenti e questo modifica moltissimo il decorso dei disturbi psichiatrici. Se paragoniamo un giovane schizofrenico di oggi a uno degli anni 50, vediamo un’evoluzione diversa perché costui ha, quasi certamente, sperimentato già diverse sostanze. In sintesi: l’uso di droghe in alcuni soggetti predisposti induce precocemente alla psicosi e sembra essere, soprattutto in alcune fasi evolutive come l’adolescenza, un fattore epigenetico (di mutamento della genetica, ndr).
In parole povere, drogarsi da ragazzini può indurre cambiamenti a livello fisico nel cervello?
Esattamente e, da questo punto di vista, la distinzione tra droghe pesanti e leggere non ha senso.