Corriere della Sera, 30 marzo 2023
Risorgimento senza padri
Caro Aldo,
leggo la sua risposta al lettore che paragonava i Savoia a Putin. Ovvio che esagerava, però lei, in nome della tipica fedeltà monarchica dei piemontesi, non ammette che il racconto del Risorgimento talvolta penda dalla parte dei vincitori, dimenticando i vinti. Ho letto i libri di Denis Mack Smith e si evincono cose interessanti come il fatto che i contadini lombardi allagavano le risaie non appena arrivavano i Savoia, che il barone Goffredo de Banfield (rivale di Baracca) è ancora un mito per i triestini, che nella battaglia di Lissa vinta dalla flotta austro-veneta, i marinai gridarono «Viva San Marco». Quindi, i Savoia non sono Putin ma la storia va letta a 360 gradi.
Mirco Blasich
Penso che una forte impronta ideologica di parte di molti italiani impedisca a questi di leggere la storia del Paese con onestà intellettuale e in fondo di rispettarlo se non proprio amarlo.
Marco Turri, Bolzano
Sono stato al museo nazionale del Risorgimento a Torino e mi meraviglio sempre di come ci sia poca gente all’ingresso. Possibile che non si colga l’incredibile storia che ci precede?
Alessio Pozzi
Cari lettori,
sono d’accordo con voi: il Risorgimento è senza padri. Fu fatto dai liberali: una specie politica quasi estinta, e comunque estranea a fascismo, comunismo e popolarismo, che hanno dominato il nostro Novecento. E fu fatto principalmente dai piemontesi, che stanno spesso antipatici agli altri italiani, inconsapevoli che i piemontesi ormai non esistono più, Torino è la metropoli italiana dall’identità più spappolata, e la guerra civile tra bersaglieri e borbonici alla lunga l’hanno stravinta i secondi.
Lei, gentile signor Blasich, scrive cose vere, e altre inesatte. Il Piemonte sabaudo nel 1946 votò in netta maggioranza per la Repubblica; Napoli e in genere il Sud votarono in netta maggioranza per la monarchia. È vero che la marina austriaca vittoriosa a Lissa era composta in maggioranza da marinai veneti; se è per questo, la battaglia del Volturno fu vinta dai garibaldini sull’esercito del Regno di Napoli; furono insomma battaglie vinte da italiani contro altri italiani. Ma questo non fa che ricordarci come fossimo un popolo diviso, dominato dagli stranieri. L’impero asburgico controllava direttamente Lombardia e Veneto, e indirettamente il resto d’Italia, prendendosi il lusso di mettere esponenti dei rami cadetti sui troni di Firenze, di Parma, di Modena. Quando le armate asburgiche furono sconfitte, grazie al genio di Cavour, all’eroismo dei soldati piemontesi comandati da Vittorio Emanuele II, all’audacia di Garibaldi e al sangue dell’esercito francese, il sistema crollò come un castello di carta. Oggi Cavour è del tutto assente dalla memoria nazionale (da Roma in giù sbagliano financo a pronunciarne il nome), ai soldati piemontesi si preferiscono i briganti, a Vittorio Emanuele II Ninco Nanco, i francesi sono il popolo che gli italiani detestano di più. E l’astro emergente della Lega Fedriga, che sta per essere rieletto governatore del Friuli-Venezia Giulia, si vanta su un giornale di destra di aver fatto un tema a dodici anni sul «personaggio che vorresti eliminare dalla storia»: «Gli altri scrissero di Stalin, Hitler, Mussolini; io di Garibaldi». Poi non stupiamoci se non ci sono code fuori dal (bellissimo) museo del Risorgimento.