Avvenire, 30 marzo 2023
Intervista a Gabrielel Salvatores. Parla del suo Casanova
Lo scorrere del tempo, le trappole della vanità, l’incapacità di accettare il declino, la necessità cogliere nuove opportunità. Nel suo nuovo film, Il ritorno di Casanova, che prende spunto dall’omonimo racconto di Arthur Schnitzler sugli ultimi anni del celebre seduttore veneziano, Gabriele Salvatore fa i conti con se stesso e la propria carriera attraverso la storia di un affermato regista, Leo Bernardi – interpretato da Toni Servillo – che ormai sul viale del tramonto non ha intenzione di cedere lo scettro ai collegi più giovani. Nel suo ultimo film ha scelto di mettere in scena proprio il Casanova di Schnitzler, che sente vicino a sé, un uomo ormai invecchiato – con il volto imbel-lettato di Fabrizio Bentivoglio privo ormai di denaro e di fascino. Entrambi conquistati da due giovani donne (Sara Serraiocco e Bianca Panconi) Leo e Giacomo condividono le medesime inquietudini. Presentato all 14ª edizione del Bif& st – Bari International Film& Tv Festival, Il ritorno di Casanova arriva nelle sale oggi con 01 Distribution e Salvarores, premio Oscar con Mediterraneo, già alle prese con un nuovo lavoro, parla di un film che giudica il più personale.
Perché partire dal testo di Schnitzler?
Era da tempo che volevo portarlo a teatro. Il tema del doppio poi mi ha sempre affascinato e dal racconto emerge una riflessione sul passaggio di età. L’idea di Casanova che non riesce più a sedurre e a tenere fede al proprio personaggio mi ha fatto pensare al mio lavoro. Anche i registi sono dei seduttori che si servono delle loro storie per arrivare al cuore delle persone e io, che ho raggiunto i 70 anni, devo confrontarmi con le nuove generazioni cinematografiche in arrivo. La mia vita è ricca di soddisfazioni, ma il tempo davanti a me si accorcia, devo valutare bene i film da fare e un po’ di ansia ti viene. Qui ci sono da una parte Casanova che, uccidendo il suo doppio e rivale, il giovane tenente Lorenzi, ammazza la giovinezza mettendo anche fine alla propria carriera di seduttore, e dall’altra un regista maturo, Bernardi, che non comprende perfettamente cosa sia questo “nuovo” che avanza.
In che modo il film parla anche di lei?
Pur non essendo la mia storia, è la prima volta che in un film parlo di fantasmi, paure, ed esperienze molto personali. Se Casanova è destinato a perdere perché resta attaccato al suo personaggio nonostante la vecchiaia, il regista invece si mette in crisi e si ritrova in dono un figlio. Una svolta non facile da accettare a 60 anni, ma con un po’ di coraggio potrebbe essere il regalo più importante della sua vita e una porta sul futuro.
Per sopravvivere bisogna dunque accettare il cambiamento.
Non abbiamo scelta. Non ho avuto figli, mi è stato detto che ho i miei film, ed è vero, ma stringere la pizza di un film non è come abbracciare un figlio. Il dilemma di Servillo è quello di accettare una nuova vita oppure no. La sua crisi non è creativa come quella di Mastroianni in 8 ½ di Fellini, ma esistenziale
Le due storie che si intrecciano nel film sono stilisticamente molto diverse.
Quella contemporanea è in bianco e nero, mentre quella di Casanova è più classica e narrativa, proprio per differenziare realtà e messa in scena. Quando fai un film vivi in un mondo totalmente tuo, che organizzi e governi come meglio credi, mentre la vita non ha copione né regia e al massimo ti riserva il ruolo di attore. Sia fisicamente che psicologicamente sto molto meglio quando giro un film, ma arrivati a una certa età ti chiedi se questo sia giusto. Per quanto possiamo amare il cinema, non si può certo dire che sia più importante della vita. Ho fatto molti film, sono stato fortunato perché ho potuto vivere di questo lavoro bellissimo, ma niente è gratis. Ho pagato un prezzo e perduto sicuramente alcune cose.
Il ruolo riservato a Bentivoglio è impietoso.
Fabrizio è stato molto coraggioso nel mettersi a nudo. Lui è stato bello, sexy, ed ha accettato di diventare questo Casanova ormai vecchio.
Con Servillo invece è stata la prima volta.
Toni ha una grande complessità di pensiero e alla fine del film mi ha ringraziato per avergli offerto una persona e non un personaggio.
Lei ha mai vissuto sulla propria pelle quella ostilità che talvolta si riservano i registi di diversa età?
Non credo di avere atteggiamenti negativi verso i più giovani, so di aver fatto il mio cammino e che dovranno arrivare altri. Lo accetto, ma ho un po’ paura e allora penso «lasciatemi fare ancora qualcosa!». Miles Davis diceva che se vuoi rimanere interessante devi suonare con gente più giovane di te e io allora mi circondo di una troupe di giovani. Quando ho cominciato alcuni grandi maestri come Francesco Rosi, i Taviani ed Ettore Scola, mi volevano bene. Però nel mondo del cinema romano mi sento un corpo estraneo, non ho mai frequentato molto salotti e terrazze dove tanti progetti si chiudono. La mondanità poi non fa per me, alla fine mi ritrovo sempre da solo in un angolo con un bicchiere in mano. Nessuno però mi ha mai remato contro.