la Repubblica, 28 marzo 2023
La Bollywood di Modi sposa l’estremismo indù
Ciak, si gira: l’eroe della casta dei guerrieri, il poliziotto Raju, corre a cavallo su un ponte impugnando un tricolore indiano con scritto “Madre India”. Gli va incontro un “intoccabile” che si fa chiamare Akhtar inforcando una moto a tutta velocità. Un incendio sul fiume rischia d’ardere vivo un ragazzino che non sa nuotare. Raju si lancia nel vuoto, da un lato, aggrappato a una fune. Akhtar si lancia dall’altro. L’“intoccabile” agguanta al volo il ragazzino, mentre Raju intinge la bandierona nel fiume. Il bimbo viene lanciato da uno all’altro, così come la bandiera bagnata che, avvolgendo Akhtar, lo salva dalle fiamme. Un complicatissimo stunt al limite del ridicolo che però fa saltare sulle seggiole il pubblico di Rrr,il blockbuster del cinema indiano che ha vinto persino un Oscar con il tormentone della canzone originale danzante “Naatu Naatu”. Tutto bello, tutto divertente, ma il sottotesto di questa storia anti-colonialista (i due eroi prima sono nemici, poi si scoprono alleati nel combattere gli invasori colonialisti britannici) è in realtà un messaggio fondamentalista induista che è sfuggito a pochi: l’intoccabile, o il Dalit, o l’Adivasi, termine più preciso per indicare le caste tribali considerate più basse, viene dipinto come un sempliciotto, un gigante buono, coraggioso, ma bisognoso di aiuto, per emanciparsi, dal guerriero più intelligente e abile che proviene dalla casta più alta dei guerrieri: c’è tanta condiscendenza castista in questo successo planetario per il cinema indiano.Ma ormai è tutto così, nella Bollywood contemporanea, da quando il premier Narendra Modi ha iniziato a bacchettare le tendenze troppo scollacciate e di sinistra tra gli attori e registi di un’industria del cinema che vale almeno 1,5 miliardi di euro l’anno, e che da ormai dieci anni supera per incassi Hollywood. I film che piacciono a Modi e al suo partito sono sempre al servizio di una visione fondamentalista indù come ad esempio The Kashmir Files che raffigura come vittime di un genocidio la minoranza induista deipundit del Kashmir a maggioranza musulmana. Il film è stato un successo di incassi, grazie anche al sostegno politico della rete del Bjp, il partito al potere. Ma, come osserva la premiatascrittrice Arundhati Roy: «Il film, in realtà, non parla dei pundit ma li strumentalizza per fargli rappresentare tutti gli indù, mentre i musulmani sono visti come malefici macellai che massacrano e uccidono. In verità, ci sono pundit kashmiri che vivono ancora oggi nel Kashmir e che hanno relazioni normali con i loro amici e vicini musulmani. In 30 anni, ne sono stati uccisi 619. Nel film pare che l’intera popolazione sia stata massacrata o messa in fuga».I musulmani sono il vero obiettivo di questa campagna bollywoodiana, come hanno provato sulla loro pelle le superstar Amir Khan e Shah Rukh Khan. Amir Khan ha addirittura scatenato l’hashtag “boycottbollywood” quand’è uscito il suo Laal Singh Chaddha, versione indiana di Forrest Gump. Niente di sbagliato nel film, ma i militanti induisti sono andati a rivangare un’intervista dell’attore del 2015 in cui accusava il clima di intolleranza religiosa in India e si chiedeva se non fosse l’ora per la sua famiglia, musulmana, di lasciare l’India, cosa che non ha mai fatto. Il film è stato un disastro al botteghino, a causa dei trolls. Altre star come Hrithik Roshan che hanno difeso Amir Khan sono finiti anche loro nel mirino dei boicottatori fondamentalisti. Anche la serie Bbc A Suitable Boy,ispirato al romanzo di successo di Vikram Seth, è stato boicottato e criticato aspramente perché mostra un bacio tra un ragazzo musulmano e una ragazza indù, risvegliando i timori della love jihad, la credenza, infondata, secondo cui c’è un piano dei musulmani indiani per sedurre e convertire le induiste tramite il matrimonio.In questo clima anche una delle superstar più pagate al mondo, il musulmano Shah Rukh Khan, si era un po’ dileguato dalle scene da quattro anni. Ora è riemerso con il successone diPathaan, non senza far ribollire il sangue ai militanti estremisti dell’induismo che hanno twittato: «I terroristi (musulmani) vengono presentati come vittime, dando la colpa alle vere vittime (noi indù)». La battaglia sullo schermo non si ferma alle frontiere. Da anni si producono anche film che puntano al revisionismo storico nei confronti dei Paesi confinanti come il Pakistan. Come Missione Manju che descrive i nemici pakistani come pasticcioni estremisti che giocano con le armi nucleari, incastrati dall’abile agente segreto di Delhi. Proprio come la propaganda americana diRambo e diBlack Hawk Down, e come i cinesi con il filone action diWolf Warrior che proietta un nuovo machismo nazionalista oltre i confini, alla conquista dell’Africa, così anche Bollywood ora produce sempre più film d’azione che mirano a proiettare un’immagine più grande di ciò che è la realtà.