il Giornale, 28 marzo 2023
Sulla morte di Francesco Baracca
Un cavaliere del cielo, con sullo stemma un puledro rampante. Un uomo che avrebbe fatto del coraggio, e della precisione in combattimento, la sua cifra, vergata dalle scie dorate dei traccianti sull’azzurro del cielo. Eppure un uomo che non amava la violenza, che aveva orrore del fatto che i piloti nemici bruciassero incastrati in quei velivoli da cui non ci si poteva buttare col paracadute. E quella sorte sarebbe toccata anche a lui, precipitato in circostanze mai del tutto chiarite, il 19 giugno 1918. Colpito dalla mitragliatrice manovrata dall’osservatore Arnold Barwig del biplano pilotato da Max Kauer, secondo gli austriaci. Falciato dal fuoco partito da terra, secondo l’Esercito italiano. Una versione questa decisamente più funzionale al mantenimento del morale visto che Francesco Baracca era in quel momento l’eroe più famoso della nazione, D’Annunzio a parte. Come scrisse anni dopo l’asso Mario Fucini: «Era la stessa fiducia in noi stessi che riceveva un colpo: se è possibile abbattere Baracca, cosa potrò fare io per non subire la stessa sorte?... Ed anche subentrò in noi una specie di conforto nel quale non avevamo sperato: Baracca non era stato abbattuto da caccia avversari. Il suo prestigio di cacciatore non era stato intaccato. Come Sigfrido soltanto un colpo a tradimento aveva potuto finirlo. Nessun vanto il nemico avrebbe potuto fare di questa fine. È questo più di tutto importava...». Sia come sia, a differenza di quel che credono molti, l’eroismo non è mai di un atto solo e men che meno di un atto finale. Baracca è stato un mito dell’aria, ma un mito carico di umanità e di rispetto per il nemico, che non menava alcun vanto delle sue molte (34 accreditate) vittorie. Un mito che adesso rivive nel docufilm intitolato I cacciatori del cielo che andrà in onda su Raiuno domani, alle 21 e 30, in occasione del centenario della costituzione dell’Aeronautica Militare (nel 1923). Prodotto da Anele con Luce Cinecittà e in collaborazione con Rai Documentari (e con il patrocinio del ministero della Difesa), racconta la nascita della nostra forza aerea che all’epoca della Prima guerra mondiale dipendeva ancora dall’esercito. La vicenda che è stata in parte romanzata, ma con misura e buon senso, prende le mosse nel 1915, anno in cui Baracca (interpretato da un sempre bravo Beppe Fiorello) si ritrova nel campo di aviazione di Santa Caterina, vicino Udine, sede del primo reparto aerei da caccia e del Comando Supremo. Attorno a lui e al suo comandante, Pier Ruggero Piccio (sarà asso anch’egli e poi Capo di Stato maggiore dell’Aviazione), si viene a creare il nucleo di quella che diventerà la 91esima squadriglia, la squadriglia degli assi. E mentre gli scontri aerei si susseguono e Baracca ottiene i suoi primi trionfi, la guerra mostra tutti i suoi volti. C’è la spettacolarizzazione del combattimento aereo, che rende Baracca un eroe amatissimo e corteggiato dalle donne. C’è la morte che comunque incombe costante. C’è la necessità di una nazione di trovarsi un cavaliere del cielo, bello e invincibile, per dimenticare quanto sporco e tremendo è invece quello che accade nelle trincee a milioni di giovani. Tutte cose su cui il Baracca della fiction riflette in modo attualissimo, ma sempre muovendosi sulla falsa riga di ciò che sappiamo del Baracca vero, anche a partire dalle sue lettere. Come il fatto che portava sempre in volo con sé la sua pistola, per spararsi se il suo aereo fosse precipitato avvolto dalle fiamme. Il regista Mario Vitale, che si è avvalso della consulenza storica di Paolo Varriale, per raccontare tutto questo ha utilizzato una tecnica mista molto efficace. Ci sono parti filmiche, parti in cui i protagonisti si raccontano come in un monologo teatrale, filmati e foto d’epoca, tra cui due rarissimi in cui si vede il vero Baracca (forniti dagli archivi dell’Istituto Luce) e delle bellissime parti in animazione (disegnate da Lellio Bonaccorso). L’effetto d’insieme è una narrazione fresca e ben fatta, anche se è facile pensare che si è ricorsi ai disegni non solo per svecchiare ma anche perché narrare in altro modo avrebbe richiesto budget ben diversi. Molto ben pensato anche uno dei pochi personaggi inventati del film: il meccanico Bartolomeo Piovesan. Interpretato da Andrea Bosca, è il personaggio che lega l’alto e il basso, il mondo dei soldati semplici a cui la guerra è piovuta in testa, come prima gli pioveva in testa la grandine o la povertà delle campagne, a quello degli eroi delle macchine volanti. Così come funziona molto bene il personaggio, questa volta reale, di Norina Cristofoli (Claudia Vismara) che di Baracca fu l’ultimo amore. Perché alla fine quello raccontato meglio è proprio il lato umano della guerra aerea che andò in scena nei cieli sopra Udine. Come raccontava ieri in conferenza stampa Beppe Fiorello: «Se possiamo volare, al di là del conflitto, al di là del valore in guerra, lo dobbiamo a persone come Baracca. Io di lui sapevo poco. Quando siamo arrivati sul set mi aspettavo aerei pieni di metallo, pesanti. Poi ho toccato queste ali e queste carlinghe di legno e tela, leggerissimi. Avevamo quasi paura di romperli ad entrarci dentro anche solo per girare le scene. Queste persone facevano delle cose incredibili, pilotavano tenendo la cloche con le gambe, affrontavano un gelo incredibile in mezzo alle intemperie, gli dobbiamo moltissimo». E in effetti è bello che alla fine sia arrivato un tributo da prima serata a questi eroi, Baracca in primis, di cui la gente sa poco. Tra i pochissimi appunti che si possono porre alla serie ce ne è uno anagrafico. Come dicevamo sopra Beppe Fiorello è bravissimo, ma interpreta a 54anni un giovane ufficiale che è morto a trent’anni. Oltre il limite già discutibile di Pier Francesco Favino, 53 anni, che ha interpretato – in Comandante – Salvatore Todaro, altro eroe morto a 34. Alla fine sempre meglio avere un grande attore che averne uno così così, però questo Paese un tempo è stato anche giovane, e lo si potrebbe mostrare, scommettendo su attori giovani. Fiorello ha l’età per interpretare D’Annunzio che in guerra ci andò, fu coraggio anche quello, da vecchio. Altra bella storia che non si racconta mai.