La Stampa, 28 marzo 2023
Intervista a Valerij Panjuškin
Mio padre appoggia la guerra». Comincia così il nuovo libro di Valerij Panjuškin. Lui ha 54 anni, da qualche mese è fuggito da Mosca e vive con moglie e figli a Riga, in Lettonia. Il padre ne ha 84 e vive a Mosca. Valerij fa il giornalista ed ha seguito l’ "operazione speciale" di Vladimir Putin in Ucraina fin dalle prime battute, compreso l’orrore di Bucha, marzo 2022, quattrocento vittime civili, i cadaveri buttati per strada, alcuni con le mani legate dietro la schiena, immagini che hanno impresso per sempre il marchio di quella guerra.
Scrive Valerij che quando ha raccontato di Bucha, il padre si è ribellato e ha alzato la voce: «Come osi? Come puoi anche solo pensare che un soldato russo possa uccidere donne e bambini?». Valerij dice che il padre gridava come un ossesso, come capita quando uno capisce di essere parte di una realtà tremenda e non può accettarla perché sarebbe come morire. «Cosa deve fare un uomo di ottantadue anni che è stato educato e ha educato i suoi figli alle imprese dei soldati sovietici eroi della Seconda guerra mondiale? Cosa significa rendersi conto che adesso gli aggressori siamo noi? Significa suicidarsi».
Il libro di Valerij Panjuškin si intitola L’ora del lupo, è stato pubblicato in questi giorni dall’editore e/o. È un grande reportage dall’Ucraina, una raccolta di storie e di persone, di vita e di morte, di dolore e di forza, di smarrimento e di eroismo.
Ma è anche un libro che ci porta al cuore del rovescio del dramma ucraino, il consenso al dittatore che ha blindato la Russia in un’anacronistica epica nazionalista dove i massacratori di Bucha sarebbero i "liberatori", Unione Europea e Stati Uniti i nuovi nazisti. Il giudizio di Valerij sui suoi compatrioti è severo: «Ho smesso di pensare che i russi siano obnubilati dalla propaganda. Molti di loro sanno tutto, ma a oggi nessuno in Russia ha escogitato una sola azione sensata che faccia seguito alla consapevolezza di essere degli aggressori».
Ricominciamo dall’inizio. Valerij, che uomo è suo padre?
«È nato nel 1939. È un uomo buono, lo amo, però per lui come per tanti della sua generazione, è molto difficile essere indipendente, lui deve sentirsi parte di qualcosa di grande se no si sente perso. Deve sentirsi parte del Paese, anche se il paese fa qualcosa di brutto, lui pensa di dover condividere qualsiasi cosa».
Per lei è diverso? Lei è cresciuto in Unione Sovietica ed aveva 22 anni quando il regime è crollato. Cosa studiavate, cosa credevate?
«Come tutti portavo il fazzoletto rosso al collo da pionieri, ma nessuno ci credeva. Eravamo obbligati. Negli anni 90 ero all’università, studiavo storia dell’arte, guardavo le fotografia della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze e speravo di poterla vedere del vivo, un giorno. Leggevamo gli autori russi dell’emigrazione, compreso Solzhenicyn. Studiavamo italiano inglese, eravamo una specie di emigrazione interna. Ma allora nessuno di noi aveva paura del Kgb».
Uno degli argomenti su cui Putin ha costruito suo consenso è stata l’umiliazione della Russia seguita alla fine guerra fredda. Lei e la sua famiglia vi siete sentiti umiliati?
«Sì, certo. La generazione di mio padre in particolare. Aveva un buon lavoro e l’ha perso. Mia mamma, medico, guadagnava pochissimo, sentiva l’aria della libertà ma al tempo stesso si sentivano persi. La corruzione era ovunque. Io ero poverissimo, ma felicissimo. Avevamo tutti una speranza. Anzi una speranzona».
E fino a quando è durata?
«Direi fino al 2004, quando hanno arrestato Mikhail Khodorkovsky, allora io e i miei amici abbiamo capito che qualcosa non funzionava che stavamo tornando ai tempi del KGB e della giustizia politica».
Ma Khodorkovsky era un oligarca miliardario, un petroliere che si era arricchito negli anni Novanta. Come potevate considerarlo vittima dell’ingiustizia?
«Era il primo di questi nuovi ricchi che ha cercato di cambiare le regole del gioco in un mondo pieno di corruzione dove anche i poliziotti si facevano pagare per strada. La corruzione negli anni Novanta era totale. Khodorkovsky è stato il primo che ha provato a costruire un sistema diverso e proprio in quel momento lo hanno arrestato. E si è fatto dieci anni di carcere. Allora abbiamo capito che la corruzione non era un accidente ma era il programma del governo di Putin».
Di questa corruzione così evidente e così sfacciata, sulla quale Putin ha costruito la sua visione geopolitica sfociata adesso con l’attacco all’Ucraina, i governi occidentali sono stati vittime o complici?
«Quindici anni fa ho scritto un libro che è stato pubblicato in tutte le lingue europee e che si intitolava: Gazprom l’arma nuova di Putin. Non eravate obbligati a leggerlo tutto, ma almeno la copertina poteva farvi riflettere. Era chiaro dove si sarebbe arrivati, dalla prima crisi con l’Ucraina ai tempi della rivoluzione arancione, poi la guerra in Georgia, infine il 24 febbraio 2022. Come noi abbiamo pagato i missili con le nostre tasse di cui i russi non si rendono nemmeno conto perché gli vengono trattenute sugli stipendi, voi avete pagato i missili che cadono in Ucraina con i vostri contratti di petrolio e di gas».
Nei suoi racconti molto crudi e molto umani, emerge la spietatezza dei soldati russi. Cosa si insegna oggi nelle accademie militari sul comportamenti nei confronti dei civili?
«Io come giornalista ho seguito tre guerre, la seconda cecena, la Jugoslavia e l’Ucraina e posso dire questo: già al secondo giorno di guerra, nella psiche della gente normale succede qualcosa di terribile. Uomini che due giorni prima giocavano teneramente con i loro bambini cominciano ad uccidere. Ci vuole un evento enorme per bloccare questo processo. Io non penso che i russi siano feroci e gli ucraini no. I russi hanno cominciato questa guerra e dunque sono colpevoli. Ma la guerra gentile non esiste, la guerra è fatta di sangue».
Come finirà? Gli occidentali devono continuare ad aiutare l’Ucraina anche con le armi?
«Penso che gli ucraini debbano vincere e penso che da questa guerra la grande Russia non rinascerà mai più, questa guerra ucraina è un colpo mortale per la Russia che ne uscirà dilaniata dalla guerra civile. Ue e Usa devono continuare ad aiutare l’Ucraina con le armi. Ma dovrebbero aiutare anche l’opposizione russa, con la diplomazia e la cultura, è importante far capire al mondo che in Russia esiste gente normale. Io lo posso fare con i libri, non ho altro modo».