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 2023  marzo 28 Martedì calendario

La nuova bolla finanziaria: i fondi monetari Usa

La prossima bolla finanziaria? Secondo Bank of America, si sta gonfiando all’interno dei fondi monetari. Da inizio anno questi veicoli hanno attratto flussi per quasi 420 miliardi di dollari, superando i 5.100 miliardi di patrimonio gestito. Il perché è presto detto: sono considerati dagli investitori un riparo sicuro dalle recenti turbolenze di mercato.
I fondi monetari investono i soldi dei sottoscrittori in titoli di debito a breve scadenza – giorni al massimo settimane – emessi da governi o imprese con elevato merito di credito. In teoria si tratta di impieghi a rischio pressoché zero che, perciò, sono utilizzati da risparmiatori e più spesso da aziende come alternativa ai conti correnti bancari.
Un’alternativa diventata molto popolare nelle ultime settimane, in concomitanza con l’emorragia di depositi subita da alcuni istituti di credito. Dopo i crac di Silicon Valley Bank e Credit Suisse i fondi monetari hanno registrato flussi senza precedenti: 286 miliardi di dollari da inizio marzo e 420 miliardi dall’inizio del 2023.
A beneficiarne sono stati i grandi gestori dei veicoli, molti dei quali hanno sede negli Stati Uniti. Nell’insieme, così, tre colossi americani hanno catalizzato circa metà della raccolta globale. A partire dal 9 marzo, ossia dalle prime tensioni su Svb, Goldman Sachs ha infatti incrementato le masse gestite di 52 miliardi, Jp Morgan di 46 miliardi e Fidelity di 37 miliardi.
Ad attrarre gli investitori ha contribuito la prospettiva di ritorni interessanti, ancorché a basso rischio. Il repentino e drastico rialzo dei tassi d’interesse da parte di Federal Reserve e Bce ha incrementato il rendimento anche dei titoli a brevissimo termine, a fronte della remunerazione nulla tuttora offerta da molti conti correnti.
Il problema è che molti fondi monetari sono privi di rischio soltanto sulla carta. Buona parte acquista soprattutto su certificati di deposito e commercial paper, sorta di cambiali finanziarie emesse da gruppi con merito creditizio a prova di crisi. Portati a scadenza, questi strumenti garantiscono la restituzione del capitale più una modesta cedola. Qualora però insorga la necessità di venderli in anticipo per far fronte ai riscatti, diventa difficile trovare compratori disposti a comprarli a prezzo pieno se non addirittura a comprarli del tutto.
È quanto accaduto nel marzo del 2020, all’apice dell’emergenza pandemica. Nel panico gli investitori sono corsi a ritirare liquidità dai fondi monetari per depositarla sui più sicuri bond governativi. In pochi giorni i riscatti hanno superato i 100 miliardi e i gestori non hanno trovato acquirenti a sufficienza. Il mercato si è bloccato e le banche centrali sono state costrette a intervenire per sbloccare un mercato cruciale per il finanziamento delle imprese e di conseguenza per l’economia reale.
Potrebbe accadere di nuovo? Sì se la stretta monetaria dovesse allentarsi per evitare ulteriore stress agli istituti di credito, avverte Bank of America. A quel punto gli investitori potrebbero togliere fondi dai parcheggi più sicuri per tornare su titoli più rischiosi e redditizi come bond e azioni.
Gli analisti trovano anche due precedenti cronologici, chissà quanto affidabili indicatori del futuro. «Nelle ultime due circostanze in cui i fondi monetari (Mmf) sono cresciuti, la Fed ha abbattuto i tassi», ricordano gli analisti. «Nel 2008 i Mmf sono saliti da 2500 a 4000 miliardi di asset e poi i tassi dei fondi federali sono scesi dal 5 allo 0%; nel 2020 le masse dei fondi monetari sono passate da 3500 a 5000 miliardi e poi la Fed ha tagliato i tassi dal 2,5 allo 0%».
Al momento, una discesa tanto ripida del costo del denaro appare improbabile. I recenti collassi bancari hanno tuttavia insegnato che le crisi finanziarie possono innescarsi in un attimo e propagarsi in tutto il mondo con la velocità di un tweet. E altrettanto velocemente possono mutare gli orientamenti di politica monetaria. Del resto, chiosa Bank of America, «i mercati smettono di farsi prendere dal panico quando le banche centrali si fanno prendere dal panico»