La Stampa, 28 marzo 2023
Sfida sul successore del Dalai Lama
È nato negli Stati Uniti nel 2015 da genitori della Mongolia. È stato scelto come la reincarnazione di una delle figure più importanti del buddhismo tibetano. E a 8 anni finisce al centro di una delicata partita religiosa e geopolitica sulla successione del Dalai Lama. Non è chiaro se il suo nome sia Aguidai o Achiltai, ma di certo è uno dei due gemelli della famiglia Altannar (una delle principali dinastie politiche e commerciali della Mongolia) ad apparire in foto di fronte al leader spirituale buddista in una cerimonia a Dharamsala, nello Stato indiano dell’Himachal Pradesh. Qui, a poca distanza dal confine conteso tra India e Cina, il Dalai Lama vive da decenni col governo tibetano in esilio. Proprio qui, ha deciso di incoronare davanti a circa 600 persone il decimo Khalkha Jetsun Dhampa, terza carica del buddismo tibetano.
La notizia è stata accolta con sentimenti contrastanti in Mongolia: gioia per la scelta di un proprio bimbo, timore per la reazione della Cina. Pechino rivendica infatti il diritto di nominare direttamente i leader del buddismo tibetano. Nel 1995, un bambino di 6 anni fu scelto come nuovo Panchen Lama, la seconda figura più importante della fede. Tre giorni dopo venne preso in custodia dalle autorità cinesi e sostituito con un altro candidato. Nel 2016, la Mongolia ha ricevuto forti lamentele da Pechino per la visita del Dalai Lama (rimasta non a caso l’ultima) in cui preannunciava la nuova incarnazione del Jetsun Dhampa.
La scelta operata dal Dalai Lama, ritenuto un separatista da Pechino, non è certo di basso profilo: il padre del bimbo, Altannar Chinchuluun, è un noto professore dell’Università nazionale mongola. La madre, Monkhnasan Narmandakh, è amministratore delegato di uno dei principali conglomerati industriali. E la nonna è una ex componente del parlamento. Aver «promosso» un bambino con passaporto statunitense potrebbe poi essere letto dal Partito comunista come ulteriore segnale di sfida. La Mongolia, schiacciata tra Russia e Cina, spera di non subire ripercussioni. Il Paese è uno snodo chiave per Pechino: da lì passerà il gasdotto Power of Siberia 2 annunciato da Xi Jinping e Vladimir Putin.
Ma la tensione è destinata solo ad aumentare. Il Dalai Lama ha 87 anni e presto dovrà indicare ufficialmente il suo successore. Il leader buddista ha già detto che il suo erede emergerà da India, Nepal, Bhutan o appunto Mongolia. Insomma, un qualsiasi territorio in cui si pratica il buddismo tibetano al di fuori del controllo del Partito comunista.
«Nessun governo dovrebbe avere alcun ruolo in questa questione spirituale e penso che sia molto più saggio per la Cina (non interferire)», ha dichiarato a Kyodo News il presidente del governo tibetano in esilio Penpa Tsering. Il suo esecutivo non viene riconosciuto da Pechino ma ha il sostegno dell’India, che lo ospita sin dal 1959 e dalla fallita rivolta contro Mao Zedong in Tibet. La Cina sostiene di avere il diritto di scegliere il prossimo Dalai Lama, come parte di un retaggio ereditato sin dai tempi dell’impero. E potrebbe intervenire sin da ora sulla scelta del Jetsun Dhampa.
Ma la partita è complessa. Nonostante la sinizzazione del Tibet proceda a ritmo sostenuto (anche nei messaggi in inglese il governo cinese usa ora il suo nome in mandarino, Xizang), diversi abitanti della regione autonoma potrebbero essere tentati dal rispettare il successore scelto dal Dalai Lama.
Forti rischi soprattutto per i già tesi rapporti tra Cina e India. La situazione al confine conteso, proprio in corrispondenza del Tibet, è stata definita «fragile e pericolosa» da Nuova Delhi. Sullo sfondo gli Stati Uniti, che come rivelato nei giorni scorsi hanno messo per la prima volta a disposizione dell’esercito indiano informazioni satellitari durante gli scontri di dicembre coi militari cinesi. Avendo ora incarnazione divina col proprio passaporto, l’interesse di Washington non potrà che rafforzarsi.