La Stampa, 28 marzo 2023
Non toccate agli italiani i miti culinari
Il panettone? «Un prodotto commerciale recente, così come il tiramisù». Il Parmigiano Reggiano? «Se volessimo assaggiare quello dei nostri nonni dovremmo andare nel Wisconsin e non a Parma». La pasta? «Diventa piatto nazionale in America e solo dopo arriva in Italia». La pizza? «È una contaminazione atlantica». E la cucina italiana candidata come patrimonio dell’umanità Unesco? «Una cosa che non sta in piedi, nel dossier ci sono diverse cavolate». A mettere i puntini sulle i riguardo le origini di molti dei piatti simbolo dell’italianità, con buona dose di coraggio misto a provocazione, è Alberto Grandi, docente di Storia dell’alimentazione e Storia dell’integrazione europea all’università di Parma. «Racconto verità storiche», sottolinea il docente, sfidando i detrattori. Ma le sue precisazioni, uscite in una lunga intervista sul Financial Times – già contenute nel podcast di successo Doi, Denominazione di origine inventata (disponibile sulla piattaforma One Podcasta del Gruppo Gedi), oltre che in un omonimo libro – vengono vissute come un attacco al cuore della cucina italiana. Con “l’apriti cielo” annesso. In primis da Coldiretti, paladina del made in Italy che parla di “fantasiose ricostruzioni”, ma anche dal ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che non perde occasione per difendere le tradizioni italiane in cucina. E dal Consorzio del Parmigiano Reggiano, che rivendica le origini italiane del prodotto, evidenziando che le prime testimonianze risalgono al 1200: «Un atto notarile redatto a Genova nel 1254 testimonia infatti che fin da allora il caseus parmensis (il formaggio di Parma) era noto in una città così lontana dalla sua zona di produzione», scrive il Consorzio in una nota. Il tutto mentre on line impazza la caccia agli autentici natali della carbonara, con mamma Roma retrocessa a genitrice putativa. Insomma, il professore mantovano, classe ’67, rimestando nel mare magnum dello storytelling delle specialità italiane, tanto decantate in patria e all’estero, ha sollevato un gran polverone. E la concomitanza con la candidatura Unesco ha fatto da megafono alla polemica.
Il prof si difende, ma non arretra, anzi. Rilancia, forte di avere le spalle coperte niente di meno che dalla Storia: «Racconto cose documentabili. E a Salvini, che ha parlato di sparata contro il made in Italy, ho risposto che la storia va studiata – precisa Grandi – è negli anni del boom economico che la cucina italiana si è arricchita, ma non dimentichiamo che prima i nostri nonni, a milioni, hanno lasciato il Paese per fame, e questo dovrebbe farci riflettere. La pasta, tanto per fare un esempio, era osteggiata dal fascismo perché era una moda americana. “La pasta rende pacifisti”, dicevano i futuristi. Le province da cui si sono partiti più immigrati sono state Mantova, Rovigo, Treviso, Belluno, Vicenza, Udine, Verona… città dove si mangiava solo polenta. Andando all’estero, questi italiani non hanno insegnato proprio niente di cucina, anzi, hanno imparato, soprattutto negli Usa, dove c’è stato scambio anche nelle stesse comunità italiane: è lì che la pasta diventa piatto nazionale».
E che dire dei molti accorgimenti che oggi in cucina sono considerati dei must come il guanciale (e non la pancetta) nella carbonara o gli ingredienti dell’Amatriciana pura che sarebbero quelli e solo quelli (pomodoro, guanciale, peperoncino, bucatini). «Queste sono menate degli ultimi 20 anni – dice il prof con tono canzonatorio – Il punto è che confondiamo l’identità con le radici, che sono incrocio, contaminazione. La cucina cambia, continuamente. Lo dimostrano la nostra passione per sushi (siamo i primi in Europa a consumarlo) e kebab». Detto questo, il prof precisa che lui ama «la cucina italiana, ne sono un grande consumatore – dice – Non discuto assolutamente l’altissima qualità al livello mondiale: con la francese (già patrimonio dell’umanità dal 2010, ndr) e la cinese sono i grandi benchmark internazionali». Però... però il lupo perde il pelo, ma non il vizio. «Queste polemiche mi hanno invogliato ad approfondire ulteriormente gli studi sulle origini della cucina», rivela Grandi. La prossima vittima... emm cioè materia di studio? «Il cappuccino... – risponde il prof – e se avessero ragione i tedeschi a berlo dopo pranzo??». Ma questa, per ora, è solo una provocazione.