il Fatto Quotidiano, 28 marzo 2023
Libri sulla maternità
Annie Ernaux, insignita del Nobel per la Letteratura, ha affermato: “Lotterò fino al mio ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno”. L’autrice francese, madre di due figli, nel 1963 si liberò tuttavia di una gravidanza indesiderata. È questa sfida allo stigma sociale dell’aborto che rievoca ne L’evento (L’Orma, 2019). Essere madri non è più un destino ineluttabile. Se un tempo la maternità era una vocazione pressoché indotta, oggi è per le donne una scelta libera e consapevole.
La bibliografia sul tema è sempre più nutrita. Romanzi, saggi e memoir offrono in tal senso una prospettiva lontana dal cliché della fattrice devota per dare voce a donne che rifiutano di essere madri o a madri che sperimentano il proprio ruolo con sacrificio. Persino a madri che non amano abbastanza o per nulla le proprie creature. Un tabù infranto da Romana Petri che, nel suo Mostruosa maternità (Giulio Perrone, 2022), riannoda il filo da Medea e mostra il cupio dissolvi di svariate madri assassine.
In questi giorni fa parlare di sé Antonella Lattanzi, che ritorna in libreria per sviscerare il suo dramma di madre mancata. Quando tenta di restare incinta la natura le volta le spalle. Si affida alla procreazione assistita. “A me mi torturano, e tu ti sei fatto solo una sega in bagno” pensa, rivolta al compagno, mentre lei è costretta a subire un calvario. Se la scienza dapprima le dona una speranza, la stessa scienza alla fine la disillude. Rabbia e dolore si sciolgono in una lunga estenuata emorragia. Cose che non si raccontano, Einaudi, brilla di una verità autobiografica tanto oscena che il sangue che stilla dal suo corpo sembra contaminare la stessa reputazione dell’autrice. Un memoir coraggioso, scandito anche da sentimenti deteriori, fatalmente sospeso tra voracità e repulsione come in una gravidanza.
“Essere madri non è innato e non c’è nulla di naturale nell’esserlo” formalizzava negli anni 80 la filosofa Elisabeth Badinter nel suo L’amore in più (Fandango, 2012). Chi riesce a diventarlo – come la protagonista di Cattiva di Rossella Milone (Einaudi, 2018) – può sentirsi tanto inadeguata alle prese con pannolini e notti insonni da dire di sé: “Io sono buona quando allatto, sono cattiva quando voglio fuggire.” Non a caso Rachel Cusk smentisce il mito di donne traboccanti di felicità ne Il lavoro di una vita. Sul diventare madri (Einaudi, 2021). La psicoterapeuta Stefania Andreoli nel suo Essere madri senza il mito del sacrificio (Mondadori, 2022) rivendica un egoistico Lo faccio per me per emanciparsi dagli imperativi di lasciare il lavoro o trascurare interessi e amicizie e per non sentirsi più in colpa per un paio d’ore dal parrucchiere “che sottraggono tempo alla famiglia”.
In Ammazzati amore mio di Ariana Harwicz (Ponte alle Grazie, 2021) si legge: “Non si torna indietro. Nasce un bambino e a quel punto non si è più donna, ma solo madre. La società ti guarda solo così. Hai perso la tua identità, per sempre”. Rincara la dose Sheila Heti, autrice del romanzo Maternità (Sellerio, 2019): “Quando penso a tutta la gente che nel mondo vuole vietare l’aborto, mi sembra che il senso possa essere uno solo: c’è qualcosa di minaccioso in una donna che non è impegnata coi figli. Una donna del genere dà un senso di instabilità”. Simonetta Sciandivasci, curatrice del volume I figli che non voglio (Mondadori, 2022), ammette di “non sentire il morso di una mancanza” e aggiunge: “Esiste, nel non fare figli, una ragionevolezza, una ricchezza, che è l’altra faccia della natura umana”.
Scegliere di non essere genitori non è solo un atto di libertà ma anche una scelta obbligata in virtù, per esempio, dei tassi di occupazione femminile o della mancanza di tutele, tanto che Alessandra Minello certifica che il nostro Non è un Paese per madri (Laterza, 2022). Lo spettro della denatalità si traduce in una “malattia del vuoto”, per richiamare Maria Rosa Cutrufelli e il suo romanzo distopico L’isola delle madri (Mondadori, 2020): l’eroismo di quattro donne di un centro di ricerca prova a contrastare una misteriosa piaga della sterilità con le biotecnologie.
Alessandra Di Pietro e Paola Tavella, femministe laiche e di sinistra, superato lo slogan “L’utero è mio e lo gestisco io”, nel loro Madri selvagge (Einaudi, 2006) si schierano proprio contro la manipolazione sul corpo delle donne. In altre parole contro lo scientismo cieco e assoluto al pari dei cattolici. Forse è la loro verità quella più indigesta: se la maternità è in crisi, sostengono, la colpa è anche dell’infertilità degli uomini. L’amore femminile, contemplando l’adozione, va sempre oltre. Spesso sono gli uomini, schiavi del legame di sangue, a trascinare le donne nell’odissea della provetta. Forse sarebbe utile assorbire il liberatorio disincanto della 93enne Natalia Aspesi: “Il destino delle donne non è fare figli. Il destino delle donne è vivere”.