Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  marzo 27 Lunedì calendario

La piazza che diventò rossa

Nella tradizione ebraica, Adamo, nome del primo uomo, corrisponde a “rosso” e “vivente”. E ancora oggi, nelle lingue del ceppo slavo, rosso ha il significato di “vivo e bello”. Questo spiega perché la Piazza Rossa di Mosca si chiama così. Non perché rimanda all’intenso color bordeaux degli edifici che la circondano. E neppure perché, come spesso si crede, è collegata alla bandiera rossa e agli altri simboli del comunismo. Pare che il nome Krasnaja Ploshchad sia stato assegnato nel Seicento, quando il comunismo era di là da venire. Prima ancora si chiamava Požar, che in russo significa “luogo bruciato”, per via degli edifici in legno che le sorgevano intorno e facilmente prendevano fuoco. Krasnaja nel russo moderno indica l’aggettivo “rossa”, ma in russo arcaico significava “bella”. Quindi in origine il nome era “Bella piazza”, e così l’hanno memorizzata le persone di madrelingua russa, che ancora oggi dicono di non pensare al rosso quando leggono la targa con il nome. Nel resto del mondo la Piazza Rossa sarebbe dunque nata da un errore di traduzione.
(da: Lauretta Colonnelli La vita segreta dei colori Marsilio)

Krasnoe derevo è il legno rosso del cassettone, il primo colore che il consigliere titolare Jakov Petrovič Goljadkin, protagonista del Sosia di Dostoevskij, vede quando si sveglia nella sua stanzetta, qualche minuto prima delle otto del mattino. E anche le sedie sono in krasnoe derevo, cioè in mogano, ma questa volta finto. E rossa è la vernice del tavolo, e rossiccia – ma con fiorellini verdolini – l’incerata del divano alla turca. E infine è grigio il giorno autunnale, torbido e sporco, che lo scruta attraverso la finestra appannata con un fare così risentito e con una smorfia così inacidita che il signor Goljadkin non può in alcun modo dubitare: si trova nel proprio alloggio in affitto, al terzo piano di un edificio molto grande, nella città di San Pietroburgo. È verde il logoro portafoglio che cerca appena sceso dal letto. E verdini, grigiolini, azzurrini, rossini e di vari altri colori sono i biglietti che estrae dalla tasca più celata del portafoglio: un mazzetto consolatorio di settecentocinquanta rubli.
(da: Lauretta Colonnelli La vita segreta dei colori Marsilio)

Verdone è la banconota del dollaro, in inglese greenback, così chiamata perché ha il dorso di colore verde, e perciò detta anche frogskin, pelle di rana. Aldo Buzzi, raffinato scrittore che dedicò la vita al cinema, alla letteratura, ai viaggi, include i biglietti di banca nelle diversità tra Stati Uniti e Russia: «In America sono tutti verdi e di forma uguale, cosa poco pratica, e in Russia sono di diversi colori, come le uova pasquali: arancioni da un rublo, verdi da tre, azzurri da cinque, bianchi da dieci, grigi da cinquanta e iridati da cento. Dice Majakovskij: “e tu che, per il daffare e la malinconia, hai una faccia / gualcita e verde come un biglietto da tre rubli”».
(da: Lauretta Colonnelli La vita segreta dei colori Marsilio)