il Fatto Quotidiano, 27 marzo 2023
La poesia di Jannacci
“S ia ben chiaro che non penso alla casetta, due locali più i servizi, tante rate pochi vizi, che verrà quando verrà. Penso invece a questo nostro pomeriggio di domenica, di famiglie cadenti come foglie, di figlie senza voglie, di voglie senza sbagli, di 1100 ferme sulla via, con i vetri appannati di bugie e di fiati, lungo i fossati della periferia…” in questi meravigliosi versi di Quella cosa in Lombardia di Fortini-Carpi, c’e tutto il mondo, lo spirito, l’anima di Enzo Jannacci. Stasera il dottore è in stato di grazia, passa dal piano all’asta del microfono perfettamente a proprio agio, sempre incurante dell’intonazione, sembra che ogni volta canti una canzone diversa. Potenza dell’in – terpretazione. Nelle sue canzoni, quelle commoventi come anche nelle più irriverenti, c’è un amore tenerissimo per i suoi personaggi. Le donne e gli uomini di Jannacci possiedono la poesia delle “robe minime”. Quello che andava a Rogoredo a cercare i sò dané. Vincenzina davanti alla fabbrica, il barbone con le scarp del tennis che confessa con un lapsus di aver buttato giù l’Armando “pardon è caduto giù l’Armando!”. Il palo della banda dell ’Ortica (inventato da Valdi) che era sguercio “ghe vedeva quasi pü”. Il concerto, se lo ascolti a occhi chiusi, sembra il ritratto di gente senza passato e senza futuro, con un destino piccolo, ma quei personaggi sono colossali grazie a Jannacci che gli dà vita. “… cara dove si andrà, diciamo così, a fare l’amore… ma è poi amore quello tutto fretta, fibbie, lacci e brividi? Nella nebbia bagnata tra l’erbetta, un occhio alla lambretta, l’orecchio ai quei rintocchi che portano da un borgo la novena e una radio lontana da’ alle nostre due vite i risultati delle ultime partite”. Ecco a voi il dottor Jannacci Enzo, di famiglia pugliese, ma milanesissimo, con un talento unico, perché si sa, per dire certe cose... “ci vuole orecchio”. © RIPRODUZI