Corriere della Sera, 27 marzo 2023
Biografia di Irma Testa raccontata da lei stessa
Irma, ha dormito? «Non solo ho dormito, ho fatto sogni bellissimi».
Nuova Delhi fuori, con le sue assordanti contraddizioni («L’India è un posto assurdo, per certi versi meraviglioso e per altri tremendo: ho visto per strada una bambina vestita di stracci, con una neonata in braccio da accudire. Ho pensato all’Italia, a quanto sono fortunata di esserci nata: non va dato per scontato»), la pace interiore dentro. A 25 anni l’oro al Mondiale di pugilato, conquistato nella categoria 57 kg battendo 5-0 la kazaka Ibragimova, per Irma Testa è la pietra miliare di un percorso iniziato dodicenne a Torre Annunziata: «Da noi non ci sono tante possibilità per i giovani. O vieni da una famiglia perbene e benestante, che ti fa studiare, ma se hai i genitori assenti perché devono lavorare dalla mattina alla sera è difficile prendere strade che ti portino lontano. Io ho avuto il maestro Lucio Zurlo, che ha sostituito i miei. Sono entrata in palestra, mi sono subito divertita, non ne sono più uscita. A 14 anni, in Nazionale, è arrivata la proposta: vuoi trasferirti ad Assisi? Quando non hai nulla, è tutto più facile. Anche mamma mi ha dato un calcio nel sedere: vai, scappa, tu che puoi».
Con le mani bendate sotto i guantoni, Irma Testa ha scolpito a pugni innanzitutto se stessa («Da adolescente non mi piacevo: all’inizio non volevo fare la doccia assieme alle altre. Ma lo sport educa: allenando il corpo, cominci a parlarci»), seguendo la luce dei fari Pellegrini e Vezzali («Sono cresciuta osservando Federica e Valentina, due totem»), e poi la storia della sua disciplina. È stata la prima pugile italiana alle Olimpiadi (Rio 2016, a 18 anni), la prima sul podio olimpico (bronzo a Tokyo 2020), la prima a segno in tutte le rassegne (terza a vincere l’oro iridato dopo Alessia Mesiano e Simona Galassi), la prima a fare coming out: a mamma Anna l’ha detto quando aveva 15 anni («Non avevo mai parlato di queste cose con lei, ma ha aperto i suoi pensieri e ha capito: ci si può innamorare di chiunque»), a noialtri appena tornata dal Giappone con il bronzo al collo («Una medaglia olimpica ti mette al riparo da tutto: pensavo che il mio coming out si portasse dietro altre ragazze, così non è stato. Poi ci fu la questione del ddl Zan, l’applauso dei senatori quando non passò in Parlamento... Guardavo con ammirazione chi combatteva questa battaglia per aiutare i più deboli: ho voluto espormi. Mi sarei sentita una codarda, non l’avessi fatto»). Il mondo di Irma tosta, insomma, è ben più ampio del perimetro di un ring.
Cosa c’è dietro l’oro di Nuova Delhi?
«C’è l’emozione più bella che potessi vivere. Al titolo mondiale ero già andata vicina l’anno scorso a Istanbul, quando fui sconfitta in finale. Mi era rimasto l’amaro in bocca. Questa medaglia la volevo a tutti i costi ma avevo paura: ricordavo quella brutta sensazione di non farcela».
Come ha cambiato i suoi pensieri, quindi?
«L’anno scorso ero insicura e intimorita, più attenta a non fare errori che a portare i colpi. Sul ring contro la kazaka mi sono sentita sola però anche concentrata e determinata come mai prima. Irma, mi sono detta, stai tranquilla e divertiti. Gli errori insegnano: mentalmente, questa volta, ho avuto un approccio diverso».
Il ruolo di pioniera le piace?
«Mi piace l’idea di aver gettato il seme del cambiamento, ma c’è ancora molta strada da fare: in Italia il pugilato femminile vince di più di quello maschile, che a Tokyo non c’era, eppure parliamo di una disciplina ancora considerata per uomini. Non è più così. Quanto a me, sono la donna immagine del movimento ma non sono la sola. Conquistare un oro fa bene allo sport femminile in generale».
Perché le mamme dovrebbero portare in palestra le figlie anziché a volley o scherma?
«Intanto dovrebbero sempre essere i figli a chiedere di essere portati, magari dopo aver provato varie discipline. Il pugilato è uno sport completo: forma il corpo e la mente. Io ero ribelle e irrequieta, non stavo mai ferma: quando uscivo dalla palestra ero una bambina diversa. Il pugilato è un lavoro su se stessi: al sacco non picchi solo l’oggetto, in realtà stai prendendo a cazzotti tutti i tuoi problemi, le tue fragilità e insicurezze. È un esercizio catartico. È una disciplina».
Ancora zavorrata da stereotipi e preconcetti, però.
«Come il calcio femminile: fa venire le gambe grosse, fa diventare omosessuale... Ma quando mai? Il mio sogno è vedere le palestre piene di bambine: prima dei 12 anni non tiri pugni, però entri in un mondo pieno di regole e valori. Ed è falso anche che tirando di boxe ti rompi il naso o gli zigomi: in un incontro ci sono molti meno infortuni che in altri sport considerati non violenti. Il pugilato ti fa crescere».
Mentre lei vinceva l’oro, la sua collega Sirine Chaarabi, 23enne di Caserta di origine marocchina, conquistava l’argento nei 52 kg. Sirine è nata in Tunisia, vive in Italia da quando aveva 18 mesi, ha dovuto scrivere una lettera al presidente Mattarella e aspettare i 21 anni per ottenere cittadinanza e passaporto mentre per Mateo Retegui, argentino con il nonno di Canicattì, debuttante della Nazionale di Mancini, la burocrazia ha bruciato i tempi.
«Non voglio parlare per Sirine, che finalmente ha la cittadinanza italiana a differenza delle sue due sorelle, una maggiore e l’altra gemella. Mi sembra una sciocchezza che l’abbia avuta per meriti sportivi quando avrebbe potuto indossare la maglia azzurra a 14 anni: è un gran talento, la conosco da sempre, parla il dialetto meglio di me. Faceva i ritiri insieme a noi ma poi non poteva gareggiare: l’ho vista soffrire per anni. Abbiamo negato il passaporto a un’italiana perdendoci tanti successi e medaglie. Trovo molto ingiusto che Sirine non abbia potuto avere il mio stesso percorso».
Percorso in salita: «Dieci anni di sacrifici», ha detto.
«Rifarei tutto. Sono andata via di casa a 14 anni, ne ho 25. Ad Assisi mi sono abituata a tutto: ritmi, orari, dieta, allenamenti. Sono un’atleta: le mie esigenze sono poche. Infatti mi trovo benissimo. Ma la lontananza è stata dura da digerire: sono cresciuta a centinaia di chilometri da una mamma che oggi è felicissima per me. Hai trovato la tua strada, sei diventata una donna migliore, mi ripete. Ecco, per me questo è l’amore di una madre: saper capire cosa vogliono i figli e cosa è giusto per loro, senza interferire. Il senso del mio percorso, in fondo, è questo».
Il titolo iridato vale anche come pass olimpico per i Giochi di Parigi 2024?
«La Federazione mondiale del pugilato e il Comitato olimpico internazionale sono in conflitto: al Cio non piace la gestione dell’Iba e le ha tolto l’autorità di decidere il programma olimpico della boxe, affidandolo a una commissione esterna. Morale: in teoria l’oro mondiale dovrebbe valere come qualificazione all’Olimpiade ma in assenza di certezze a giugno dovrò fare i Giochi europei».
Per i tempi dello sport, sono dietro l’angolo.
«Infatti spazio per le vacanze non ce n’è. Torno dall’India, vado ad Assisi a recuperare il mio cagnolino, poi scendo a Napoli dove, a furia di pranzi e cene da mamma e nonna, rischio ogni volta di prendere 4-5 chili. Poi di nuovo sotto con gli allenamenti».
Da bambina, a Torre Annunziata, si ricorda che sogni aveva?
«Non avevo né sogni né grandi ambizioni e nemmeno poster di idoli appesi in cameretta. Sono entrata in palestra a 12 anni: da quel momento l’obiettivo è stato diventare una pugile professionista e mantenermi con il mio sport. Non ero una studentessa modello, pochissime femmine continuano gli studi a Torre Annunziata: molte si fermano alle medie, quando hanno già un fidanzatino che poi sposeranno e con cui faranno subito figli, sperando che lui non finisca arrestato. Sembra un film, invece è tutto vero».
Un punto di riferimento, da grande, è diventata Frida Kahlo.
«Una donna che ammiro incondizionatamente: Frida ebbe un incidente, soffrì pene indicibili ma non ha mai smesso di dipingere. Una donna pittrice, in Messico, all’inizio del secolo scorso: se non si è arresa lei, perché dovrei mollare io? La penso spesso prima di un incontro».
Cosa farà con i 100 mila euro del premio, Irma? Conferma che comprerà casa ai suoi?
«Ma io non l’ho mai detto! Magari compro casa per me, ad Assisi, dove sono in affitto e dove mi vedo ancora molti anni. E mo’ a mamma chi lo dice...?».
Senza che la domanda suoni pruriginosa: c’è un amore?
«No, un amore non c’è. Non c’è nemmeno un’esigenza: se arriva, arriva. Non me ne priverei. Certo bisognerebbe trovare l’equilibrio tra preparazione olimpica, di cui dopo due edizioni dei Giochi conosco a memoria le dinamiche, e relazione. L’amore è imprevedibile: tocca il cuore come nessun allenamento, per quanto estenuante, può fare. L’amore vero non è morboso né tossico: deve aggiungere, non togliere».
Questo oro è dedicato a lei, quindi.
«A me e a Emanuele Renzini, direttore tecnico della Nazionale di pugilato, che in dieci anni di lavoro ad Assisi ha saputo trasformare una bambina in una donna».
E il primo maestro Zurlo, 85 anni ben portati, l’ha sentito?
«Non ci parliamo spesso ma sappiamo che ci siamo sempre l’uno per l’altra. Ho provato a chiamarlo da Nuova Delhi, non ha risposto. Ho scritto al figlio: papà non sente il telefono, ma ha pianto per te davanti alla tv».