Corriere della Sera, 27 marzo 2023
Giorgia Meloni ed Elly Schlein a confronto
In principio furono i Cartoni. E così, se Giorgia intonava: «È Memole il nome mio/ folletto sono io/ in una foresta sto/ e tanti amici ho!». Elly già preparava il controcanto: «Fuggendo poi con un agile scatto/ Occhi di gatto! / Un nuovo colpo è stato fatto!». E se Schlein ora azzarda «Image» di Lennon al pianoforte di Cattelan, Meloni imita Meloni al telefono con Fiorello, dove giura di votare per la sinistra. Lasciate perdere, non mettevi in mezzo, è roba da professioniste. Quanta sofferenza per chi ci prova. Tal Quadrozzi, che, per aiutare o aiutarsi, paragona la sua leader a un Rolex e la sua avversaria a un Casio. O Serracchiani, che annaspando dopo la sconfitta accusa la premier di sudditanza ai maschi e deve incassare un «Mi guardi, onorevole, le sembra che stia un passo indietro agli uomini?».
Eccole, Meloni e Schlein, che si stringono la mano dopo il primo faccia a faccia, complice un question time. Nulla a che vedere, anche se la sfida è ugualmente dura, con i pugili che si misurano prima del match: occhi piantati negli occhi, nasi che si sfiorano, aliti minacciosi. Macché, loro seguono regole codificate: dita a saponetta che appena si sfiorano, sguardi rigorosamente rivolti alla platea, rapido allontanarsi.
Sono, in modi diversi, a capo di due squadre. La prima governa il Paese e un’alleanza, e nel suo ruolo funziona, anche a costo di ricorrere al melonicentrismo per ricomporre le sbavature. L’altra è alla guida di una comunità, o almeno così recitava la scritta all’assemblea nazionale che l’ha incoronata segretaria, perché alla prima occasione si è lasciata sfuggire, smarrendo il “noi”: «Lei governa, ora ci sono IO all’opposizione». Diverse in tutto, simili in tutto, soprattutto non amano bussare prima di aprire le porte. «Non tradiremo», giura Meloni. «Ce la metteremo tutta», promette Schlein. E tutte e due temono solo se stesse: «Mi sento sempre all’esame di maturità», confessa la prima. «Ho l’ansia da prestazione», ammette la seconda.
Sono passati appena cinque mesi dal giuramento di Giorgia, con Berlusconi e Salvini costretti al malmostoso ruolo di gregari. Ed è passato solo un mese da quando Elly ha confinato al ruolo di numero due Bonaccini, che credeva ormai di avercela fatta. Eppure, i sondaggi già si occupano di loro, nel ruolo di sfidanti. Con due avvertenze. Una ha ben chiaro di essere premier di una maggioranza consolidata, per quanto qua e là fibrillante. L’altra sa bene che deve inseguire, con una opposizione divisa che un po’ la teme e un po’ aspetta di vederla andare a sbattere. Di conseguenza non manca la tattica. Con Schlein che sceglie dove e quando sferrare gli attacchi oppure defilarsi. E con Meloni che le nega il cognome quando è il momento della pugna: «Desidero rispondere agli interroganti…». Professioniste, appunto. La seconda avvertenza riguarda proprio i sondaggi, che vanno letti oltre che guardati. Elly è in crescita, ma soprattutto rispetto al tracollo post elezioni, perché al momento il risultato teorico è appena al di sopra del voto del 25 settembre. Giorgia è in leggero calo, ma ben oltre al risultato che le ha consentito di conquistare la guida del Paese. Il Pd divora i Cinque stelle di Giuseppe Conte, che giura vendetta. Fratelli d’Italia incassa la vittoria alle Regionali senza umiliare gli alleati, cosa che in parte aiuta. E poi, come diceva Totò, è la somma che fa il totale. E se la rimonta dem è fatta accrescendo il divario con Calenda, non sembra per ora che le divisioni del centrodestra prefigurino rotture.
Insomma, sarebbe già il momento di una fase due. Perché la frase della femminista Lisa Levenstein, «anche questa volta non ci hanno visto arrivare», Vangelo per Elly, da sola non può più bastare, che se ne sono accorti, accidenti quanto se ne sono accorti, e lei lo sa bene. E Giorgia potrebbe rispondere con la Bibbia, libro di Daniele: «Tu sei stata pesata sulle bilance, e sei stata trovata mancante», ma sarebbe un’imprudente sottovalutazione, e lei lo sa bene. Ancora. Romano Prodi avverte la segretaria: la politica non si fa solo in piazza. E proprio la premier dribbla l’assalto, davanti alla Cgil e a una contestazione che ha imbarazzato più Maurizio Landini che lei: «Sono trent’anni che mi fischiano, in materia sono cavaliere al merito».
Ma poi, guarda i casi della vita, sono proprio Meloni e Schlein a tenere alto il vessillo della coesione con l’Europa e gli Usa contro l’invasione dell’Ucraina, controllando i vicini riottosi. L’una domando la Lega, che tiene fuori dall’aula i suoi ministri, l’altra resistendo ai Cinque stelle e sponsorizzando la pace senza però arretrare sulle forniture di armi.
Per quel che rimane è muro contro muro. Sui migranti, con Elly che chiede una missione “mare nostrum” europea e con Giorgia che dice che non possiamo accogliere tutti. L’una loda i dossier green dell’Europa e beve acqua rigorosamente da un cartone, l’altra chiede vie nazionali per la transizione ecologica e tiene sul tavolo una bottiglietta di plastica. La segretaria vuole il salario minimo e la leader del centrodestra risponde che impoverirebbe i lavoratori. Schlein vuole legalizzare la cannabis e Meloni sostiene che è un abominio. Elly chiede il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali e Giorgia promuove una legge perché la maternità surrogata sia un reato universale. L’una non sposa ma capisce gli ambientalisti che imbrattano i monumenti, facendo arrossire pure Dario Nardella, e l’altra li considera oltraggiosi. Fino al faccia a faccia, con Meloni in giacca scura e camicia chiara ed Elly con giacca chiara e camicia scura. Per certi versi un bel passo indietro sul piano del confronto e del riconoscimento reciproco, per altri, magari, un bel dibattito. Del resto, è pur sempre dallo scontro tra materia e antimateria che è nato l’universo.