La Stampa, 27 marzo 2023
Paolo Jannacci ricorda il padre Enzo
Paolo Jannacci è un cuore d’oro, un musicista di razza senza tormenti del quale il padre Enzo andava fiero. Tanto che il figlio, negli ultimi anni, si trasformò un po’ in padre. Rarità fra i figli di tanti nomi illustri, ancora oggi vive una doppia vita artistica, in proprio e per conto del papà, del quale ripercorre al pianoforte le gesta con sapienza ed allegria. A 10 anni dalla scomparsa di uno dei giganti del cantautorato italiano, risalgono le azioni di Enzo Jannacci: uno che di dischi ne ha venduti pochi, come dice il figlio, anche se la sua figura svetta per originalità e profondità, coprendo zone dell’arte inesplorate dai colleghi più blasonati, dal jazz al cabaret impastato con i personaggi bislacchi che inventava. È uscito da poco un libro, una biografia musicale necessaria e accurata, scritta da Paolo stesso e Enzo Gentile, titolo Ecco tutto qui. Paolo Conte dice sempre che Jannacci è il suo musicista preferito, insieme hanno fatto volare Messico&Nuvole nel 1970; altri ne stanno raccogliendo il testimone, dallo stesso erede a Elio di EeLST, in viaggio in Italia con un tour celebrativo di grande successo.
Caro Paolo, mercoledì 29 saranno 10 anni che Enzo Jannacci se n’è andato.
«Celebreremo tutte le ricorrenze il 3 giugno, quando compirebbe 88 anni, all’Arcimboldi in un evento unico. Ho inventato il titolo Jannacciami, è un abbraccio di musica a Milano. Ci saranno tutti i suoi musicisti e un bel po’ di colleghi, come Elio, J-Ax, Ale e Franz, Massimo Boldi, Cochi e Renato, spero. Faremo le canzoni più celebri e anche pezzi poco conosciuti come Desolato (della quale c’è un delizioso video con tutta la crema del rap tradizionale italiano, ndr)».
Era contento Enzo del fatto che lei mentre andava a scuola studiasse anche musica?
«Ho cominciato a 4-5 anni a scoprire la musica e la mia voce, quando papà ha visto che avevo orecchio mi ha instradato, prima lui e poi i maestri. A scuola non avevo grandi voti, son cresciuto di botto durante l’esame di maturità, mi son svegliato e da lì è stato più semplice lo studio degli strumenti. Non studiavo mai, mi avevano mandato a Como a imparare di più. Ho 50 anni, prima o poi prenderò il diploma al Conservatorio come mio papà».
Che ricordo ha di suo padre medico?
«Che abbia fatto solo il medico, non mi ricordo. Penso a quando visitava, ai pazienti che lo aspettavano, a com’era contento quando scopriva i mali della gente. Non si sbilanciava, non raccontava mai a casa, ma io ero fiero di lui. Due lauree ha preso, medicina e chirurgia. Ha fatto un master di 6 mesi, e ho trovato poi il diploma a casa, all’ospedale di Harlem a New York. Lì ha capito che erano bravi a trattare subito quelli che erano sotto choc, mentre da noi s’impegnavano prima a scrivere la scheda anagrafica. Avrei voluto fare medicina anch’io ma mi sconsigliò, diceva che c’era troppa burocrazia e tutto era complicato».
Una personalità esuberante, eclettica, quella di Jannacci. Com’era nella vita privata?
«C’erano dei picchi che rispettavano il suo carattere. Bassi di tristezza o apprensione, oppure era galvanico. Paradiso o inferno, gli artisti sono così. Non ho mai faticato a seguirlo, lui alla band dava lo stimolo "per far la differenza", diceva. Nel mio piccolo di quando provavamo, cercavo a mia volta qualcosa che stupisse anche noi. Poi nel periodo più adulto parlavamo molto dei nostri guai, e l’ironia era la risposta».
Paolo Conte dice ancora che Enzo è il più grande.
«Lui adesso è il mio faro, canto spesso Parigi. Doveva sentire il papà quando mi raccontava di Paolo: "Prova a riascoltare i versi di Aguaplano", mi diceva, e rimetteva su la canzone del pianoforte che galleggia nell’oceano: "Ci va una bella forza per lanciare/ Un piano a coda lunga in alto mare". Era affascinato, lo citava nelle canzoni. In Parlare con i limoni dice: "Che bella quella canzone/ Che parla della pioggia, della Francia e non fa confusione/ E in mezzo a tutta ‘sta ignoranza è facile dire/ È proprio necessario poi?».
Avete suonato tanto insieme?
«Tantissimo, ho imparato l’ipersensibilità, ero molto protettivo con lui, non volevo potesse soffrire di qualche critica, tutelandolo in tutti i modi ci sono riuscito. Faceva spettacoli di grande forza emotiva, c’era sempre al cento per cento e io gli guardavo le spalle. Sto cominciando la carriera solista, magari non ho mai fatto una hit ma la mia hit è stata accompagnare mio papà in situazioni molto importanti ed essere trattato alla pari. Da ragazzo, ho avuto con lui un rapporto conflittuale, suonavo ma non volevo cantare; poi siamo diventati grandi amici e abbiamo sopportato e supportato le debolezze l’uno dell’altro».
Un rimpianto?
«Mi sarebbe piaciuto in verità che mi avesse guardato quando sono andato in gara a Sanremo, e mi avesse poi preso in giro. Diceva sempre: "Se vede che non sei in grado, il pubblico ti mangia vivo"».