La Stampa, 27 marzo 2023
A Londra Berlusconi superstar
La capitale britannica culla o, per dirla in modo più attuale, piattaforma perenne del musical. Una legge molto ferrea: ed ecco, quindi, che al vasto catalogo se ne aggiunge pure uno dedicato al «Gesù Cristo della politica». Ovvero, le parole di autopresentazione – e di esordio nello show – dell’uomo che dal 1994 ha impresso una svolta senza via di ritorno alla politica nazionale, il fondatore e padre padrone (come vediamo ancora col ribaltone interno di questi giorni) di Forza Italia. Berlusconi – A New Musical è il titolo dello spettacolo cantato che, dal 29 marzo, andrà in scena presso il teatro londinese Southwark Playhouse Elephant. Una «storia quasi vera» prodotta da Francesca Moody (a cui si deve il serial di successo Fleabag), e presentata come «un’esposizione esilarante, impertinente e rumorosa dell’originale magnate dei media e politico populista permanentemente abbronzato», che vedrà alternarsi nel racconto delle sue variopinte e controverse vicende tre voci femminili, ispirate ai punti di vista di Ilda Boccassini, Veronica Lario e una imprecisata (ma reale) giornalista. Il tutto secondo l’ottica, come ha dichiarato la produttrice, di «una feroce lente femminista».
E, dunque, non ci resta che intonare Don’t cry for me Olgettina (copyright Dagospia) mentre ci troviamo al cospetto di un’altra tappa – tra il divertito e il critico – della “monumentalizzazione” del berlusconismo all’interno dell’immaginario collettivo e della cultura pop. E a confermarlo sono i titoli dei motivi che si alterneranno nella colonna sonora, da Per l’Italia a Bunga Bunga, da Meno male che Silvio c’è a Il mio fine settimana con Vladimir. Si potrebbe anche dire che è dai tempi di Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso conte di Cavour – ovvero, dalla sua nascita in senso proprio – che gli attori protagonisti della politica nazionale italiana esercitano un fascino indiscreto sull’opinione pubblica anglosassone. A volte anche con ammirazione autentica, a onor del vero. Ma talora più per quel pizzico di “folklore” che – nella peculiare percezione degli abitanti dell’Anglosfera (o perché, effettivamente, it’s matter of fact) – contraddistingue alcuni degli uomini politici nostrani. E talaltra poiché nel Paese che ha fatto da levatrice alla democrazia liberale si guarda con dichiarata preoccupazione a quell’«eccezione italiana» che sforna populismi a getto continuo, e dove il famigerato conflitto di interessi costituisce un optional (in genere sgradito) dell’agenda politica. E, poi, la traiettoria di Berlusconi è di per sé stessa uno show e, praticamente, una “storia infinita” che crea il partito personale e il partito-azienda neopatrimonialistico, “sdogana” la destra postmissima oggi al potere, vince elezioni a raffica e, poi, in cauda venenum, si deve inventare la “nipote di Mubarak”.
A ben guardare, però, c’è una coerenza. Tutto infatti avviene, dai fasti sfavillanti alla parabola declinante, in puro stile «egemonia sottoculturale». Perché, appunto, l’egemonia sottoculturale introdotta dal berlusconismo sociotelevisivo in Italia (e osservata con rigetto o malcelata attrazione da molte parti) è «per sempre». Come un diamante. O come il pagamento dell’affitto dell’appartamento di qualche olgettina. —